“Verso una comunità globale dell’italofonia”: a Roma gli Stati Generali della lingua italiana nel mondo

ROMA\ aise\ - Entro la fine dell’anno, presumibilmente tra ottobre e novembre, si terrà a Roma la Conferenza Internazionale dell’Italofonia con la quale si intende costituire la “Comunità dell’italofonia”. Questa sarà formata da Istituzioni e rappresentanze della società civile unite dall’interesse e dalla passione per la lingua italiana con l’obiettivo di promuovere e tutelare la lingua italiana, ampliandone ove possibile gli ambiti di utilizzo a livello internazionale, dare impulso al dialogo politico, ma anche gli scambi e i legami tra realtà italofone e sviluppare le relazioni culturali, economiche, scientifiche e accademiche tra i suoi membri.
In vista di questo ambizioso e lungimirante progetto si sono tenuti questa mattina, presso l’Auditorium del MAXXI di Roma, gli Stati Generali della lingua italiana nel mondo.
Principale appuntamento sulla promozione della lingua italiana nel mondo, gli Stati Generali hanno fornito un momento di riflessione tra istituzioni e società civile in vista della conferenza del prossimo autunno. Non a caso la manifestazione, giunta alla sua quinta edizione, è stata intitolata quest’anno “Verso una comunità globale dell’italofonia”.
A dare il benvenuto agli ospiti è stata Maria Emanuela Bruni, nominata pochi giorni fa presidente del MAXXI. “La lingua italiana è ciò che ci precede e ciò che ci definisce, ciò con cui l’Italia continua a raccontarsi nel mondo”, ha detto Bruni.
Una giovane studentessa algerina ha poi dato lettura del messaggio che il presidente della Repubblica Mattarella ha inviato alla platea, nel quale il capo dello Stato ha sottolineato quanto la lingua italiana, “prima ancora che rappresentare un veicolo di comunicazione, si identifichi con un universo di saperi”. Per l’Italia la “sfida” è quella di promuoverla in “tutti i suoi variegati aspetti”, sapendo che ciò avrà “positive ricadute” anche sulla nostra economia e senza dimenticare l’interesse per la nostra lingua non solo si ferma ai soli Paesi in cui vi è una storica presenza di comunità italiane e italodiscendenti.
Presenti in sala anche altri studenti internazionali del Collegio del Mondo Unito di Duino: cinque giovani provenienti da Afghanistan, Israele e Palestina, Russia e Ucraina, che si sono detti grati all’italiano perché ha insegnato loro a dialogare e ascoltarsi e a superare confini e barriere. La lingua è un ponte che li ha resi amici, uniti. L’italiano ha dato loro parole per capirsi, ma anche speranza che un domani la cultura unisca i loro popoli.
D’altronde “la nostra vocazione storicamente è questa”: sin dalla civiltà romana con la lingua latina, passando attraverso le repubbliche marinare e giungendo sino a oggi, “l’italiano è sempre stato un ponte, la lingua dell’amicizia” di un Paese, l’Italia, che vuole essere “portatore di pace”. A ribadirlo il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, convinto però che il primo passo lo si debba compiere qui, “a casa nostra”, studiando e parlando bene l’italiano per poi guardare al di là dei confini geografici e “fare in modo che tutti coloro che amano la nostra lingua si possano incontrare” per “valorizzare ciò che rappresenta l’italiano nel mondo”.
L’italiano, infatti, ha proseguito Tajani, “non è solo lingua, è storia, identità, è sapersi aprire al mondo”, è “lingua di pace” ed è “strumento della nostra politica estera”. Non a caso un Paese come l’India ha chiesto di incrementare i corsi di lingua italiana, ha riferito il ministro, ricordando anche che Re Carlo ha voluto pronunciare il suo intervento alla Camera in italiano, non solo come “segnale di amicizia e di attenzione, ma anche a dimostrazione dell’importanza dei concetti che vengono espressi nella nostra lingua”. L’italiano, dunque, “è molto più che studio della lingua, è scoperta di civiltà” ed è uno strumento per “trasmettere il nostro modo di pensare e agire nel mondo”.
Solo domenica Tajani era ad Osaka per inaugurare il Padiglione Italia all’Expo, dove, di fronte agli ospiti “tutti a bocca aperta” di fronte alle opere di Caravaggio e Tintoretto, ha avuto l’ennesima “dimostrazione dell’importanza culturale del nostro Paese nel mondo”, che diventa anche “strumento per valorizzare ed esportare il nostro Made in Italy”. Per questa ragione la Farnesina ha avviato il progetto del Turismo delle Radici. Per questa stessa ragione il governo vorrebbe potenziare, grazie al Piano Mattei, i corsi di lingua italiana nel continente africano, “perché sempre più persone nel mondo parlino la nostra lingua”. Dobbiamo essere però noi i primi a difenderla, ha concluso Tajani, “se vogliamo che anche gli altri la apprezzino”.
Una maggiore diffusione della scuola italiana all’estero è tra gli obiettivi del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Lo ha assicurato il ministro Giuseppe Valditara, che ha espresso la propria “soddisfazione per il moltiplicarsi delle sezioni di lingua italiana nelle scuole straniere”, ma ha anche evidenziato la “necessità di formare docenti stranieri che insegnino l’italiano all’estero” e di esportare le nostre eccellenze nel campo della didattica, come quella della “formazione professionale”.
Ma perché tanti giovani all’estero scelgono di studiare la nostra lingua? Come ha affermato Valditara, è “lo stile di vita italiano a conquistarli”. Al di là della “bellezza della produzione italiana” e della “grandezza della nostra cultura artistica, musicale e letteraria”, sono “i valori della nostra società” ad essere “vissuti in modo estremamente positivo”. Tali valori affondano le loro radici nel passato, perciò “dobbiamo avere consapevolezza di ciò che siamo stati”, della “nostra identità” e “del nostro patrimonio culturale” per poter trovare nuovi “stimoli” nel presente e “far sì che sempre più giovani si appassionino alla nostra lingua”, rafforzando “il nostro ruolo e la nostra influenza nel mondo”.
Concorda con Valditara anche il presidente della Dante Alighieri, Andrea Riccardi. “L’italiano fa crescere l’Italia e dobbiamo avere orgoglio di questa grande risorsa, la lingua, che è nelle nostre mani”, ha esordito oggi, aggiungendo: “l’italofonia è un punto importante per far avanzare questo orgoglio”.
Riccardi ha ricordato quando nel 1998 avanzò per la prima volta l’idea di una comunità italofona: “allora non pochi replicarono che era una esagerazione consolatoria per un piccolo Paese” se non addirittura “una attitudine nazionalista; ma non siamo ingenui. Sappiamo che l’italiano non è una lingua imperiale, ma nemmeno provinciale”, perché, ha spiegato, “l’italiano è una lingua storica; non è una lingua morta, ma è capace di contenere il passato parlando al presente”. Come affermò Carducci nel lontano 1889, l’italiano “non è una lingua che vive solo nei confini del nostro Paese, è una lingua che ha un respiro mondiale”, perché ha “un contenuto di umanità e di civiltà”.
Il presidente della dante è tornato ancora una volta a parlare della dualità dell’italiano, diviso tra “italnostalgia”, ovvero “il sentimento di chi nel mondo è legato all’identità italiana” per nascita o discendenza, e “italsimpatia”, una “forte corrente” di “attrazione” per tutto ciò che è “stile italiano” – arte, cultura, turismo, made in Italy – e che porta a scegliere di studiare la nostra lingua. Talvolta addirittura a scrivere in italiano: sono oltre 700 gli scrittori stranieri che hanno scelto di usare l’italiano. La Società Dante Alighieri li ha raccolti in un’associazione, presieduta da Edith Bruck, che in un videomessaggio ha spiegato la sua scelta: “l’italiano per me è lingua di libertà”. Per Andrea Riccardi è “necessario creare italsintonia tra questi preziosi frammenti di italianità”, facendo “emergere una trama unitiva che attraversa la lingua italiana e la nostra cultura, tessuto umanistico che niente impone, ma profondamente raccorda chi guarda all’Italia e alla sua cultura”, ha concluso.
La giornata è proseguita con una tavola rotonda moderata dal direttore generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale della Farnesina, Alessandro de Pedys, alla quale hanno preso parte la corrispondente della tv turca Seyda Canepa, Antonio Calabrò, giornalista, scrittore e componente del Consiglio Generale di Confindustria, Paolo Petrocelli, sovrintendente della Dubai Opera, la scrittrice premio Pulitzer Jhumpa Lahiri e il professor Giulio Ferroni, presidente del Comitato scientifico della Dante Alighieri.
Ognuno ha portato il proprio contributo alla giornata, ma anche ai lavori delle Commissioni che hanno disegnato il percorso di avvicinamento alla Conferenza Internazionale dell’Italofonia.
Un momento, quello della Conferenza, che per de Pedys sarà “una mezza rivoluzione copernicana”, perché sancirà ufficialmente che “la lingua italiana non è più patrimonio solo dell’Italia, ma di una comunità di Stati, persone e imprese”, chiamati tutti a tutelarla e promuoverla. È “un progetto ambizioso, una sfida non facile perché l’italiano non è una lingua veicolare” e “dovrà contare sulla propria forza, sulla conoscenza e sulla passione di chi fa parte di questa comunità”.
È il caso di Seyda Canepa che, esprimendo “grande ammirazione” per alcune “eccellenze” italiane come quelle da lei stessa incontrate nel campo della salute e del volontariato, ha invitato ad investire sui giovani, “che possono diventare ambasciatori della lingua italiana nel mondo”, e ad agire “diversificando” l’azione di promozione della cultura italiana in base a Paesi e target diversi. “Vivendo dentro una realtà così privilegiata”, ha aggiunto, “non ci rendiamo conto di quante possibilità abbiamo di rendere il mondo migliore”.
“L’Italia è abituata sin dal medioevo a produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”: è partito da una citazione dello storico Carlo Cipolla l’intervento di Antonio Calabrò, che ha avuto un profilo più spiccatamente economico.
Per Calabrò “la lingua è elemento di traino di un umanesimo industriale”, fatto di imprese che, diffuse sul territorio, hanno “storicamente un’attitudine allo sguardo internazionale. L’economia italiana è un’economia di interconnesioni con il mondo”, come dimostra l’esportazione di componentistica italiana nei settori dell’automotive e dell’industria spaziale. “La tradizione è fondamentale, ma noi”, ha ricordato Calabrò, “siamo un Paese di innovazione”, “qualità e sostenibilità” sono un “punto distintivo e competitivo” dei nostri processi produttivi; per questa ragione l’Italia è “sulla scena internazionale” nonostante sia un Paese povero di materie prime.
Il made in Italy – fatto in larga parte di metalmeccanica e meccatronica, chimica e farmaceutica, industria aerospaziale e cantieristica navale – e le nostre imprese sono “soggetti importanti non solo della nostra economia, ma della nostra civiltà in generale, perché sono capaci di tenere insieme principi umanistici e conoscenze scientifiche”, come già ci ha insegnato Leonardo.
“L’impatto della cultura italiana sulla comunità internazionale è grande” e “il segmento musicale rappresenta già una comunità italofona”. È quanto ha affermato Paolo Petrocelli, rammentando che “i teatri sono già presidi della promozione della lingua italiana nel mondo. Non riusciamo però ancora a fare sistema”, ha aggiunto, pur riconoscendo gli “sforzi” della rete all’estero della Farnesina. “Non possiamo più permetterci ritardi”, ha ammonito Petrocelli, invitando realizzare “attività di sistema” che lancino “un percorso percorribile nel tempo”, un “progetto di medio-lungo termine” che non si fermi alla rappresentazione fine a sé stessa, ma sia “una vera e propria promozione integrata”.
Petrocelli ha puntato il dito contro un “approccio all’opera datato”, che non è appetibile per i più giovani, ma ha parlando anche di un “grande presidio”, quello dei tanti artisti italiani nel mondo: “ricordiamoci di loro e usiamoli come ambasciatori culturali per proiettare questo progetto nel futuro”.
Figlia di stranieri negli Stati Uniti, Jhumpa Lahiri non ha scelto la lingua italiana per motivi familiari o politici. In realtà, ha raccontato oggi, non ha proprio scelto lei la lingua italiana: “la lingua ha scelto me, mi ha attirata, mi ha proposto di studiare i suoi dizionari”, “è entrata nel cervello e nelle vene”, senza mai chiederle “perché?”.
A tirare le fila del dibattito è stato Giulio Ferroni. Dalle imprese all’opera, dai libri alla musica, “l’umanesimo che la lingua italiana ha attraversato e diffuso in tutto il mondo” è stato “polimorfico”, esprimendo una “pluralità di esperienze” perché tanti sono i centri culturali nel nostro Paese. Questi sono sempre stati “aperti al mondo”, “in interferenza tra loro e con il resto d’Europa, prima, e del mondo, poi, in una dimensione mai coloniale, salvo una piccola e disastrosa parentesi”. Per questo “difendere il punto di vista dell’italofonia no vuol dire difendere il rilievo dell’identità italiana, ma la sua esperienza di rapporto col mondo che è stata sempre aperta”.
“Nella diffusione dell’italiano e nella esperienza culturale italiana in tutte le forme in cui si è espressa c’è stata questa forza di apertura, questa pluralità”, ha proseguito Ferroni, “per cui difendere l’italiano significa difendere la pluralità linguistica”, perché l’italiano non si è mai posto come lingua “totalizzante”, bensì ”lingua di dialogo culturale e di conoscenza”.
La lingua è anche “manifestazione della bellezza dei luoghi e dello spazio”, ha detto ancora Ferrone. “La lingua si è plasmata sul territorio con i dialetti ed è poi diventata l’italiano letterario che però non ha cancellato il substrato dialettale”, rispettando i luoghi e la loro bellezza. “La lingua italiana respira dell’ambiente e della necessaria conservazione della sua bellezza”, un valore questo, che di fronte al tema sempre più urgente del cambiamento climatico, rappresenta un plus di cui pure la Comunità italofona dovrà occuparsi, “per il futuro dei nostri figli”. (r.aronica\aise)