Corriere dell’italianità/ Cittadinanza, questione di diritto o di identità? - di Toni Ricciardi

ZURIGO\ aise\ - “Le ragioni per votare al quesito referendario che chiede il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la concessione della cittadinanza”. A spiegarle è Toni Ricciardi in un articolo a sua firma pubblicato ieri, 1 maggio, dal Corriere dell’italianità, diretto a Zurigo da Fabio Lo Verso.
“Cosa significa essere cittadini e cittadine? O meglio, cos’è la cittadinanza? Quest’ultima, semplificando, non è altro che un concetto giuridico che definisce il rapporto tra un individuo e uno Stato, attribuendo al primo una serie di diritti e doveri. In sostanza, è l’appartenenza a una comunità politica, con tutte le implicazioni giuridiche, sociali e politiche che ne derivano. Detto in altri termini, la cittadinanza si compone di diverse caratteristiche che, nei secoli, ne hanno definito l’essenza.
La prima è l’appartenenza ad uno Stato e la creazione di un legame giuridico tra l’individuo (la persona) e la Nazione. A ciò si legano i diritti e i doveri, definiti dall’ordinamento giuridico di ogni singolo Stato, ovvero dalle leggi (le regole) che ne definiscono il funzionamento. Questa caratteristica fa dei cittadini e delle cittadine persone uguali (principio di eguaglianza). L’eguaglianza è garantita e promossa, nelle democrazie basate sullo Stato di diritto, dalla legge.
La cittadinanza non è solo una questione giuridica, ma riguarda anche con un senso emotivo di partecipazione alla collettività (Nazione). Senso di appartenenza, appunto, significa sentirsi di appartenere a un gruppo che avverte un comun sentire, una identità comune. E fin qui abbiamo provato a dare una definizione giuridicamente articolata del significato di cittadinanza. Solo nell’ultimo punto, legato al senso di appartenenza, abbiamo utilizzato il termine identità.
Paradossalmente, è proprio questo il concetto nascosto (identità) che apre a una serie di interminabili discussioni tra aperturisti, progressisti e conservatori. Chi ha diritto di diventare cittadino? Quali requisiti deve possedere l’individuo per esser ritenuto degno di entrare in una comunità (Nazione)? La risposta a queste domande, da secoli, provoca discussioni interminabili.
Esistono due modelli di riferimento di trasmissione di cittadinanza: ius soli e ius sanguinis. Lo ius soli (modello americano) è quello che trasferisce la cittadinanza per territorio, ovvero, questa viene trasmessa dal territorio sul quale si nasce a prescindere dalla cittadinanza dei propri genitori; mentre lo ius sanguinis – sistema prevalentemente utilizzato in Europa, su tutti Germania e Italia – conferisce la trasmissione della cittadinanza per discendenza, a prescindere dal luogo nel quale si nasce. Negli ultimi anni, diversi paesi hanno posto un limite al trasferimento automatico della cittadinanza. Anche l’Italia è intervenuta sul tema. La questione è in discussione proprio in queste settimane e torneremo sull’argomento in futuro, quando il quadro sarà definito.
Il concetto che ora ci preme approfondire maggiormente è: identità. Cosa significa identità? Cosa significa essere italiani? Riconoscersi in una lingua? Essere di religione cattolica? Già qui le distinzioni si amplierebbero. Diciamo, allora, definirsi cristiani? Eppure, la Repubblica è di per sé laica, quindi non prevede un diritto in più (positivo) da assegnare ad un credo religioso rispetto a un altro. Essere bianchi di carnagione? Fino a che tonalità? Se si è olivastri, si è italiani o no? Il colore degli occhi, dei capelli?
Quindi, riepilogando, il credo religioso non è un fattore determinante e non può esserlo, e meno che mai i tratti somatici. Siamo una penisola che parte dalle Alpi e arriva quasi al Nord Africa. E allora cosa significa essere italiani, cosa si intende per identità italiana? Avere il gusto per un certo tipo di cucina? A chi non piace la cucina italiana? Oggi in qualsiasi supermercato della grande distribuzione troviamo prodotti italiani, sono di largo consumo. Basta l’amore per la pasta?
A chi non piace la moda italiana? Siamo certi che solo gli italiani vestano Armani, Gucci o i jeans Diesel? Siamo certi che siano aziende ancora giuridicamente italiane? Sappiamo fare automobili? Quanti di voi posseggono un’auto italiana, o meglio, quante sono ancora le auto oggi italiane? Stellantis, l’allora Fiat (Fabbrica italiana automobili Torino) non esiste più e gran parte del capitale sociale non è italiano, la sede legale è in Olanda. La 500 è un brand di italianità, certo, ma è ancora italiana? Potremmo continuare all’infinito, con centinaia di esempi.
Immaginiamo ora di poter rappresentare l’identità italiana attraverso consumi, usi e costumi che in realtà non sono dissimili da quelli di tante altre persone che non conoscono la nostra lingua e che non avvertono l’esigenza di sentirsi italiani. Ovviamente, per economia di spazio, lo stesso discorso vale per il concetto di identità svizzera. In questo caso la definizione risulterebbe ancora più complicata da stabilire. La questione ha a che fare con il diverso, con chi ai nostri occhi appare come un approfittatore del nostro Stato di diritto, delle nostre leggi, del nostro senso di appartenenza, lo straniero, l’altro.
Cosa definisce la nostra identità di italiani, o in molti casi – siamo più della metà doppi cittadini (italiani-svizzeri) –, l’essere italiani? Come parliamo? Dove siamo nati, nonostante ormai già in Svizzera il 40% delle nuove iscrizioni Aire è per nascite avvenute nella Confederazione? Questo ragionamento rischia di diventare puramente sofistico. La verità probabilmente è un’altra. Se la lingua è un requisito imprescindibile, nel caso italiano, uno dei tanti dialetti territoriali ne completa il quadro. Perché chi è nato, cresciuto, ha studiato in Italia pur essendo figlio o figlia di un africano non ha diritto di vedersi riconosciuta la propria identità italiana? Per il colore della pelle? Un siciliano o un salentino, o un calabrese di carnagione olivastra che mangia regolarmente la ‘Nduja è italiano alla pari di un lombardo che ama l’ossobuco alla milanese? Ovviamente sì.
Ciò significa che il concetto di identità italiana, come quello di identità svizzera – perché le usanze e le tradizioni di un ginevrino non sono certamente le stesse di uno zurighese – hanno pari dignità. Per questo è necessario creare le condizioni per far diventare cittadini quanti si sentono tali, chi avverte il senso di appartenenza a una comunità che è, di fatto, uno dei principi cardine del concetto di cittadinanza.
Per questa ragione, è utile votare Sì al quesito referendario che chiede il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. È una norma di civiltà che interessa anche molti svizzeri in Italia che sentono di appartenere alla nostra comunità. Perché anche gli svizzeri, alla pari dei marocchini o degli eritrei, sono extracomunitari, in quanto giuridicamente non facenti parte dell’Unione europea. Ma ciò riguarda la percezione e l’utilizzo improprio di espressioni giuridiche”. (aise)