La voce del popolo/ Il bisogno di una memoria conciliata – di Marko Medved

Foto Željko Jerneić

FIUME\ aise\ - “Sabato 14 giugno la Chiesa di Fiume, alla presenza del cardinal Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, in veste di rappresentante di papa Leone XIV, nel Santuario di Tersatto celebrerà il Centenario dalla fondazione nella città quarnerina della sede episcopale. Infatti, con la bolla del 25 aprile 1925 e seguendo i confini dell’allora Provincia del Carnaro, un anno dopo l’annessione all’Italia, papa Pio XI creava la Diocesi di Fiume”. Ne scrive Marko Medved, storico, teologo e ricercatore fiumano, in questo lungo articolo pubblicato su “La voce del popolo”, quotidiano diretto a Fiume da Christiana Babić.
“Non è nostra intenzione dilungarci in questa sede in disquisizioni storiche anche perché negli ultimi anni, e dopo un lungo oblio, questa pagina di storia ecclesiastica è stata oggetto di studio in diverse opere in lingua croata e italiana. Nella seconda metà del Novecento due visioni storiografiche contrapposte impedivano un’analisi pacata di questa pagina storica. In ambiente storiografico comunista jugoslavo vennero pubblicati numerosi scritti anticattolici e antiromani. In Italia, sulla scia del tabù che ha segnato tutto ciò che si riferiva all’esodo, anche i temi religiosi relativi all’Istria e a Fiume venivano ignorati. Dopo il crollo delle ideologie e da più di trent’anni a questa parte, altre insidie si ergono per una storiografia pacificata, non ultimi i nazionalismi. Tuttavia ci sia permesso, anche se in modo sommario, di elencare alcuni dati basilari sforzandoci soprattutto di trarre qualche riflessione più ampia e condivisibile anche da chi si sente estraneo agli ambienti religiosi.
I TENTATIVI NEI SECOLI
Non è ancora chiaro se la romana Tarsatica, esistente sul luogo in cui nel Medioevo troviamo Fiume – Terra Fluminis Sancti Viti – fosse in ambito ecclesiastico una diocesi. La basilica, le cui fondamenta coperte da mosaici di notevole qualità artistica sono emerse negli scavi archeologici una quindicina di anni fa, potrebbe far supporre conclusioni simili. Dal tardo Medioevo sino alla fine del Settecento Fiume appartenne alla diocesi di Pola, poi a quella di Segna-Modruš. Fiume costituiva una sola parrocchia, con la chiesa collegiata dell’Assunta, il Duomo, avente capitolo, arcidiacono e canonici. Tentativi per istituire una diocesi indipendente erano stati intrapresi più volte lungo i secoli, ma il mancato appoggio dell’autorità secolare non aveva permesso esiti positivi.
L’erezione della diocesi di Fiume, avvenuta il 25 aprile 1925, fu possibile grazie alle favorevoli condizioni ecclesiastiche e politiche. Pertanto, nella creazione della diocesi, l’interesse dell’autorità ecclesiastica e politica coincisero. La fondazione avvenne dopo l’annessione della città all’Italia avvenuta un anno prima in seguito all’accordo tra i governi di Belgrado e Roma del 27 gennaio 1924. Si trattava di una Diocesi plurinazionale costituita da Italiani, Croati e Sloveni.
Far memoria di questa pagina storica ci sprona a rapportarci col modo in cui facciamo memoria in queste terre nord adriatiche. Nell’ormai lontano 1985, per i sessant’anni dalla nascita della diocesi di Fiume, a Roma venne organizzato un colloquio che vide tra i partecipanti studiosi sia italiani che croati. Negli atti pubblicati in seguito, una delle autrici, Patrizia Hansen, non senza amarezza constatava l’assenza di una storia del cattolicesimo fiumano. A cent’anni dalla fondazione della diocesi e dopo il crollo delle ideologie, non è forse arrivato il momento propizio per tentare di scriverla?
SAIN, SANTIN, CAMOZZO…
Nella storia della nascita della Diocesi di Fiume vanno nominate alcune figure. Celso Costantini (1920-1922), amministratore apostolico in epoca dannunziana preparò i piani per erigere le nuove parrocchie e la nuova diocesi, ma dati gli sconvolgimenti politici in città non poté portare a termine il proprio compito. Isidoro Sain, arrivato come benedettino istriano e amministratore apostolico, smembrò nel 1923 l’unica parrocchia fiumana fondandone nuove a Cosala, in centro città presso i cappuccini, ai Giardini pubblici e a Torretta. Egli condusse con successo le trattative con le autorità civili, dopo di che papa Ratti istituì nel 1925 la Diocesi con parrocchie croate, italiane e slovene situate tra Fiume, la Riviera liburnica sino a Bersezio, da Clana, a Matteria, Elsane, Prem ecc.
Isidoro Sain divenne primo vescovo di Fiume (1926) e resse la Diocesi fino alla morte avvenuta nel 1932 (è sepolto nella Cattedrale di S. Vito). Nel 1933 l’istriano Antonio Santin venne nominato secondo vescovo di Fiume rimanendovi fino al 1938, quando la Santa Sede lo mandò a Trieste ove rimarrà vescovo sino alla metà degli anni Settanta. Figura, quest’ultima, alquanto complessa e usata sovente nella public history. Ugo Camozzo fu il terzo vescovo di Fiume, che lasciò la città nel 1947 divenendo in seguito arcivescovo di Pisa, ove raccoglierà ben 25 tra sacerdoti e seminaristi esodati da Fiume. Passata alla Jugoslavia, ecclesiasticamente Fiume venne retta da Segna, con la quale formerà a partire dal 1969 l’Arcidiocesi di Fiume-Segna, mentre oggi è sede dell’Arcidiocesi di Fiume (dal 2000) e della Provincia ecclesiastica che raccoglie anche Parenzo – Pola, Veglia e Gospić – Segna.
LA TRAGEDIA AI GIARDINI PUBBLICI
La fondazione della Diocesi di Fiume fu un avvenimento storico rilevante non solo per la comunità ecclesiale, dato che l’erezione di una diocesi indipendente in epoca di amministrazione italiana della città segnò la costruzione di varie chiese parrocchiali e strutture che fino al giorno d’oggi costituiscono parte integrante dell’aspetto architettonico urbano e dell’attività pastorale della Chiesa.
In epoca di amministrazione italiana vennero costruite chiese e varie strutture usate fino ai giorni nostri: Arcivescovado, chiesa di S. Romualdo e Tutti Santi, chiesa dei Cappuccini della B. V. Maria di Lourdes, Seminario di Belvedere e cappella, chiesa di S. Nicolò, chiesa di Maria Ausiliatrice dei salesiani, chiesa di Sant’Antonio a Cantrida, chiesa di S. Giuseppe delle Monache benedettine (oggi via Čandek), chiesa di Cristo Re a Mattuglie, chiesa dell’Annunciazione ad Abbazia.
Nell’enumerare le varie chiese bisogna ricordare la tragedia che spettò a quella costruita nei Giardini pubblici a Mlaka. Nell’aprile 1941 i Fiumani davanti al Miracoloso Crocifisso di S. Vito fecero voto promettendo di costruire una chiesa se la città fosse stata preservata dalla distruzione in quei momenti di guerra e occupazione del Regno della Jugoslavia. Si eresse il Tempio del Santissimo Redentore nei Giardini pubblici, ma nel 1949 la chiesa venne rasa al suolo dai comunisti.
UNA FEDE NON BIGOTTA
Per essere chiari, Fiume è stata una città alquanto secolare e liberale. Il gesuita fiumano Sergio Katunarich scrisse: “In casa nostra di Chiesa e di preti non si parlava e i preti non godevano una gran fama… In realtà non si conoscevano. Né tanto meno si frequentavano. Eppure io avevo incontrato ottimi sacerdoti. Per la cultura dominante a Fiume poi, Dio era assai più che ai margini”. Sono forse parole forti, ma rendono l’idea. Osservando la crisi di fede, ovvero l’abbandono della prassi religiosa a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e poi sotto l’ondata di diffusione del marxismo e dell’ateismo di stato lungo il Novecento, varrebbe la pena soffermarsi e riflettere profondamente sul modo in cui il cristianesimo veniva proposto. Analizzando nelle ultime settimane il lascito di papa Francesco, l’importanza che egli aveva individuato nel rapporto dei cristiani con le questioni sociali mi ha fatto riflettere sulle mancanze della Chiesa in queste terre e sulle ragioni per cui in molti hanno girato le spalle al cristianesimo pensando di poter trovare altrove, non ultimo le ideologie totalitarie, la speranza per un mondo migliore.
Certamente la fede dei Fiumani nel passato non era stata bigotta. Il che non significa meno evangelica. Era una fede che ha saputo far fiorire una comunità autoctona nata dal carisma di suor Maria Crocefissa Cosulich a cavallo tra Ottocento e Novecento e il suo Istituto del Sacro Cuore di Gesù per le orfane in Pomerio.
IL PROBLEMA DEI NAZIONALISMI
Un problema di primo ordine anche per quanto concerne la Chiesa è stato il nazionalismo, o meglio dire i nazionalismi. Purtroppo, il nazionalismo del XX secolo ha sconvolto la delicata questione dell’equilibrio nazionale e linguistico non solo nella sfera civile, ma anche all’interno della Chiesa. L’uso della lingua nella cura pastorale in tempi di forti nazionalismi ha provocato problemi anche a Fiume, problemi di fronte ai quali gli ecclesiastici non sempre hanno saputo rispondere salvaguardando la propria missione ecclesiale, la quale abbraccia tutti i fedeli a prescindere dall’appartenenza etnica, senza sacrificarla alle spinte nazionali.
Ciò è accaduto anche in altre aree multinazionali dell’Europa centrale, come le zone della Polonia abitate dai tedeschi, la Romania abitata dagli ungheresi, ecc. Possiamo affermare che l’esperienza degli abitanti dell’Europa centrale ha dimostrato che il nazionalismo è il grande male del XX secolo. Prima di ciò, in epoca asburgica, la plurisecolare convivenza di italiani, croati, austriaci, sloveni e ungheresi, permise l’elaborazione di un particolare ambiente fiumano senza esacerbare le varie identità. Le persone comunicavano in diverse lingue, mentre nella Chiesa si usava il veteroslavo assieme al latino, da far notare nel 1648 al francescano Franjo Glavinić, nel vicino convento di Tersatto, che “il prete fiumano celebra naturalmente in latino e in veteroslavo”.
LA DISTORSIONE DEL PATRIOTTISMO
Additare il pernicioso effetto dei nazionalismi significa essere consapevoli che il sentimento di appartenenza nazionale non va radicalizzato e necessita di essere accompagnato con ideali universali. Celebrare i 100 anni della Diocesi a Fiume significa essere consapevoli che vi sono valori che varcano le soglie ristrette delle nostre varie identità nazionali. Con questi valori di fratellanza universale, il cristianesimo per secoli ha plasmato l’umanità, trascendendo, fin dalle proprie origini, i confini tra ebrei e greci. Quando il patriottismo viene assolutizzato diviene nazionalismo, e ci troviamo di fronte a un falso patriottismo, a una distorsione del vero patriottismo. Questo è ciò che ci insegna la storia di Fiume, della Croazia e dell’Europa del XX secolo.
Non è un caso che tra i padri fondatori dell’Unione europea vi fossero Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi. Erano cattolici e provenivano da regioni multinazionali d’Europa e, in quanto tali, erano consapevoli della perniciosità del nazionalismo. Schuman, originario del Lussemburgo, regione di confine tra Germania e Francia, divenne Ministro degli Esteri francese dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo politico, per molti aspetti segnato dalla cultura francese e germanica, sapeva che la politica estera francese non poteva basarsi sulla vendetta, ma sulla riconciliazione, ed era consapevole che la garanzia della pace in Europa risiedesse nella riconciliazione di due popoli europei la cui inimicizia aveva causato diverse guerre. Schuman non era chiuso nella propria nazionalità, ma considerava il benessere dei suoi vicini un proprio interesse. Era un cattolico convinto; non nascondeva la sua fede, ma non la trasformava in un’ideologia. Basava la sua spiritualità sulla messa quotidiana, sulla contemplazione e sulle frequenti visite alle abbazie benedettine.
UNA CITTÀ COSMOPOLITA
Il Novecento sconvolse gli equilibri nazionali di Fiume in modo definitivo. Lo fece anche all’interno della Chiesa. Va ribadito che il nazionalismo è contrario al cristianesimo. Infatti, il cristianesimo trascende la nazione e va oltre le particolari appartenenze etniche. Tuttora non esiste una storia unica e condivisa del cattolicesimo fiumano. Si è fermamente convinti che per scriverla sia necessario ricucire lo strappo storiografico ed anche ideologico, verificatosi nel secondo dopoguerra, tra la visione italiana e quella croata-slovena.
L’ultimo sacerdote italiano di Fiume vivente e il più illustre di quelli che Camozzo raccolse a Pisa è Severino Dianich. Quando alcuni anni fa rilasciò un’intervista al nostro mensile arcidiocesano Zvona, dichiarò: “Per noi a Fiume era del tutto normale passare ogni giorno davanti a due sinagoghe, due chiese evangeliche e una chiesa ortodossa. Era naturale per noi mescolare le lingue; Fiume era una città cosmopolita. (…) Ora, nella mia vecchiaia, sento quell’esperienza di crescere a Fiume, con la sua cultura aperta e il suo cosmopolitismo, come una grande eredità. Certo, la Toscana, dove vivo, è incomparabilmente più ricca di cultura, ma non ha ancora nulla del genere”.
IDENTITÀ RELIGIOSA ED ETNICA
L’esame di questo periodo di storia ecclesiastica di Fiume pone domande sempre attuali tra le quali vanno cercate altresì le cause dell’insufficiente attenzione storiografica registrata sino ad ora. Qual è il rapporto tra l’identità religiosa e quella etnica? Come conciliare pluralità e unità, in fattispecie come realizzare la cura pastorale in territori plurinazionali? Come conciliare la religione e l’età moderna, la fede e la scienza, l’appartenenza religiosa e il bisogno di una società secolare? Cosa ha significato l’inculturazione in questi territori mitteleuropei? Come si è posta la Chiesa rispetto ai regimi totalitari? Quanto siamo pronti e quanto siamo coraggiosi per porre sotto esame il passato delle proprie comunità di appartenenza, siano esse etniche o religiose, analizzando non solo i torti subiti, ma prendendo coscienza delle ingiustizie commesse nei confronti degli altri, registrando non solo le “nostre” vittime, ma anche quelle degli “altri”? Abbiamo bisogno di “purificare la memoria” oppure, sotto la spinta della politica, usiamo la storia per alimentare nuovi rancori?
Abbiamo bisogno di una cultura della memoria che non ricordi in modo selettivo, ma che affronti con maturità il passato, permettendo anche agli altri e ai diversi di essere integrati nelle nostre identità e nella nostra memoria riconciliata. Non si tratta solo del rapporto con il nostro passato. È in gioco la capacità di scegliere la strada giusta per poterci incamminare costruendo il nostro presente e il nostro futuro”. (aise)