La voce di New York/ Cittadinanza USA, l’esame diventa più severo: nuove regole per i richiedenti – di Dania Ceragioli


NEW YORK\ aise\ - “Da oggi, 20 ottobre, ottenere la cittadinanza americana sarà più difficile. Il nuovo esame di naturalizzazione approvato dalla U.S. Citizenship and Immigration Services (USCIS) introduce infatti prove più complesse, un numero maggiore di quesiti e un vaglio più rigido della cosiddetta buona condotta morale”. A spiegare le novità introdotte dall’Amministrazione Trump è Dania Ceragioli su “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Giampaolo Pioli.
“I titolari di green card che presenteranno istanza dovranno affrontare una prova di educazione civica più lunga e impegnativa: 20 domande, di cui almeno 12 da completare correttamente. Il test, che fino a oggi prevedeva ne prevedeva soltanto 10 con soglia di superamento fissata a sei risposte esatte, si arricchisce di contenuti storici e politici, riducendo invece quelli più semplici o descrittivi.
Scompaiono quelli più elementari, come “Quale oceano lambisce la costa occidentale degli Stati Uniti?”, per lasciare il posto a domande di ben altro spessore, che spaziano dalla Guerra del Golfo Persico al conflitto in Vietnam. L’intento è spingere i candidati a mostrare una comprensione più solida della storia americana e delle interazioni politiche sul piano internazionale.
Un portavoce della USCIS, Matthew Tragesser, ha dichiarato che l’obiettivo della riforma è garantire che chi ottiene la naturalizzazione sia “pienamente integrato” e pronto a contribuire alla “grandezza dell’America”. Un messaggio che si inserisce nel più ampio orientamento dell’amministrazione repubblicana, volto a rendere più selettivo l’accesso allo status e, più in generale, a limitare le possibilità di ingresso e permanenza degli immigrati negli Usa.
Il cambiamento non riguarda solo il test civico. La USCIS ha inasprito anche i criteri relativi alla moralità del richiedente. In passato, era sufficiente non avere precedenti penali o comportamenti in contrasto alla legge. Ora, invece, verranno richieste prove concrete di contributi positivi alla società americana: attività di volontariato, partecipazione civica o altri elementi che attestino un impegno reale nella comunità. Gli ufficiali dell’immigrazione potranno inoltre condurre controlli più approfonditi, anche attraverso interviste a familiari, colleghi o vicini, per verificare la coerenza del profilo dichiarato.
Le nuove regole, tuttavia, sollevano forti perplessità tra giuristi e associazioni che assistono gli immigrati.
Julie Mitchell, direttrice legale del Central American Resource Center di Los Angeles, un’organizzazione no profit di supporto ai rifugiati, ha spiegato che le modifiche rischiano di aumentare gli ostacoli in un processo già complesso. Secondo la legale, queste novità avranno un impatto significativo soprattutto su chi dispone di basse competenze linguistiche o scarse risorse economiche.
Anche la definizione più ampia di “buon carattere morale” desta preoccupazioni. Gli operatori temono che la valutazione soggettiva dei funzionari possa rendere il percorso verso la nazionalità desiderata meno trasparente e prevedibile.
A difendere l’inasprimento delle prove è stato Joseph Edlow, direttore dell’USCIS, che in un intervento a Washington ha sottolineato come l’attuale esame fosse “troppo facile”, con quesiti eccessivamente elementari. Secondo Edlow, conoscere più a fondo la Costituzione e la storia del Paese è fondamentale per dimostrare un autentico attaccamento ai valori statunitensi.
Amanda Frost, docente di diritto dell’immigrazione all’Università della Virginia e autrice del libro You Are Not American, come riportato da National Public Radio, ritiene invece che non esistano prove concrete di un problema nel precedente sistema. La studiosa osserva che non vi è alcuna evidenza che le persone naturalizzate non condividano i valori democratici o non partecipino attivamente alla vita della Nazione.
Frost ricorda anche che quasi la metà di tutte le aziende Fortune 500 sono state fondate da immigrati o dai loro figli, un dato che testimonia, a suo avviso, quanto i migranti abbiano contribuito alla crescita economica e sociale dell’America”. (aise)