La voce di New York/ Papa Leone XIV “inseguito” dal fisco americano – di Costantino Del Riccio


NEW YORK\ aise\ - “Il 13 settembre scorso Leone XIV, pontefice nato a Chicago, ha accolto in Vaticano il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Brian Francis Burch. Un gesto di cortesia istituzionale che segna l’inizio di una stagione nuova nei rapporti tra il Vaticano e Washington. Dietro il cerimoniale e il garbo diplomatico, si è affacciata una questione giuridica e simbolica di insolita portata: la cittadinanza americana del Papa e le possibili conseguenze fiscali”. Ne scrive Costantino Del Riccio su “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Giampaolo Pioli.
“Negli Stati Uniti la normativa federale prevede che ogni cittadino, anche residente all’estero, resta soggetto agli obblighi dell’Internal Revenue Service (IRS), l’agenzia governativa incaricata della riscossione delle imposte. Applicato al vescovo di Roma, il principio genera un singolare paradosso: la guida spirituale di oltre un miliardo di fedeli chiamata a confrontarsi con la burocrazia tributaria di uno Stato. In Vaticano si osserva che non si tratta soltanto di una questione contabile, ma di un nodo politico che riguarda il rapporto tra appartenenza nazionale e vocazione universale, tra sovranità degli Stati e autonomia della Chiesa.
Il tema si è imposto subito dopo l’elezione al soglio di Pietro di Robert Francis Prevost, quando gli uffici di Washington hanno ricordato che la cittadinanza implica obblighi permanenti.
A differenza di altri ordinamenti, negli Stati Uniti la cittadinanza è un vincolo che non si estingue automaticamente e la potentissima agenzia federale IRS richiede la dichiarazione annuale dei redditi da tutti i cittadini, ovunque risiedono.
Nel caso del Papa, il problema non riguarda il patrimonio personale, ma le risorse che sostengono il ministero petrino, dall’Obolo di San Pietro alle collette caritative diocesane, che appartengono alla Chiesa e non alla persona del pontefice. Pretenderne la rendicontazione equivarrebbe a sottoporre beni ecclesiastici al controllo di un’autorità esterna, con implicazioni delicate per la sovranità vaticana. Non sorprende, quindi, che la vicenda sia approdata nelle aule del Congresso. Il deputato repubblicano Jeff Hurd ha presentato l’Holy Sovereignty Protection Act, una proposta di legge che mira a esentare il Papa dagli obblighi fiscali, riconoscendone la condizione unica di pastore universale e capo di Stato. Il testo prevede che Leone XIV, pur conservando la cittadinanza americana, non sia tenuto a compilare il “Form 1040” né a dichiarare fondi ecclesiali.
Per i promotori, in gran parte repubblicani, il provvedimento non è una questione tecnica, ma un atto politico destinato a sanare una situazione eccezionale. Altri parlamentari, più cauti, temono che la norma apra la strada a rivendicazioni analoghe da parte di cittadini privati. Ma nessuno nega che il “caso Prevost” costituisca un’anomalia difficilmente risolvibile con i soli strumenti del diritto tributario.
A complicare il quadro interviene la doppia cittadinanza del pontefice. Nato negli Stati Uniti, ha ricevuto quella peruviana negli anni di missione pastorale in America Latina. Dopo l’elezione ha rinnovato il passaporto peruviano; non vi sono conferme certe riguardo a quello americano.
Alcuni osservatori indicano come soluzione radicale la rinuncia alla cittadinanza statunitense, che eliminerebbe alla radice i vincoli tributari, ma aprirebbe delicati interrogativi diplomatici. Altri, invece, vedono nel mantenimento della cittadinanza un’opportunità e un valore aggiunto: un Papa americano può essere un ponte tra le due sponde dell’Atlantico, capace di favorire un dialogo politico e culturale.
La Santa Sede, dopo l’incontro con l’ambasciatore Burch, mantiene un profilo riservato. All’interno delle mura vaticane si avverte il timore che un problema di natura fiscale riduca la portata spirituale del pontificato a una disputa amministrativa. Sarebbe assurdo, sottolineano fonti vicine alla Segreteria di Stato, che il successore di Pietro fosse chiamato a giustificare davanti a funzionari del fisco l’origine di offerte destinate a opere di carità. Il rischio è un impoverimento simbolico: l’immagine del Papa alle prese con moduli e scadenze stride con la sua missione universale di guida spirituale.
La vicenda solleva interrogativi più ampi: fino a che punto uno Stato può imporre vincoli su una figura che rappresenta un’autorità religiosa che trascende confini e cittadinanze? Non si tratta di un tecnicismo, ma una questione di libertà religiosa e di autonomia ecclesiale. Il paradosso assume contorni quasi surreali se si considera che, mentre la Santa Sede si impegna nella mediazione per la pace, nella difesa dei diritti umani e nelle sfide etiche poste dell’intelligenza artificiale, deve al contempo difendere la propria missione da una rivendicazione tributaria. Ma la storia insegna che la grande politica spesso si misura con dettagli apparentemente marginali.
Così, il primo Papa americano si trova a fronteggiare non dispute dottrinali o divisioni all’interno del Collegio episcopale, bensì l’implacabile apparato dell’IRS. In attesa che il Congresso si pronunci e la diplomazia individui soluzioni condivise, Leone XIV, con saggezza pastorale, ha scelto il silenzio: ogni parola, in questa fase, rischierebbe di apparire come un’ingerenza. Resta da capire se prevarrà il buon senso, così da impedire che un dettaglio tecnico si trasformi in una frattura istituzionale.
L’obiettivo resta chiaro: preservare l’immagine di un pontificato che aspira a edificare ponti tra culture e religioni, ma che oggi si vede costretto a confrontarsi con i meccanismi della fiscalità internazionale”. (aise)