Sbs Italian/ Raccontare l’identità: il percorso visivo di Alberto Ferretti – di Manuela Rispoli

SYDNEY\ aise\ - “Nato in Italia e arrivato in Australia a 21 anni, Alberto Ferretti, pittore e videografo a Sydney, ha trasformato il percorso migratorio in una lente attraverso cui indagare identità, appartenenza e memoria”. Lo ha incontrato Manuela Rispoli, autrice di un podcast e del relativo articolo, pubblicati sul portale di SBS Italian, lo Special Broadcasting Service che diffonde notizie in lingua italiana in tutta l’Australia.
“"La parola artista non l’ho mai amata troppo. A me piace di più la parola creativo; io sicuramente sono una persona creativa", racconta al microfono di SBS Italian. Diplomato in scultura in Italia, ha scelto inizialmente la pittura come linguaggio più diretto per raccontare storie personali e collettive.
In Australia ha trovato lo spazio per farlo, ma anche il vuoto con cui ogni migrante prima o poi si misura. Non è stato l’ambiente esterno a influenzare il suo modo di creare, quanto piuttosto la distanza, la solitudine, l’assenza di una cornice familiare.
"In momenti in cui sei così lontano da casa, sei un pochino forzato a fare quel lavoro introspettivo", dice Alberto. "Per me era molto importante capire chi ero, cosa voleva dire essere italiano".
Quell’interrogativo lo ha portato a esplorare l’italianità come costruzione culturale e percezione esterna, restituendola in immagini dense di stratificazioni. La sua arte nasce da uno stato di inquietudine, dalla necessità di decifrare un ruolo, di collocarsi in un luogo che non è più quello di partenza ma non è ancora del tutto casa.
Dopo diversi anni di pittura ininterrotta, la videografia è arrivata come un’estensione naturale. "La mia più grande passione prima della pittura è la cinematografia, però non l’avevo mai investigata", spiega.
Quando ha sentito esaurirsi la riserva creativa su tela, ha deciso di esplorare nuovi codici visivi. "Ho pensato: perché non posso fare dei ritratti su camera al posto che su tela?". Il video, nel suo caso, diventa uno spazio di osservazione intima, quasi psicologica. Non documenta: interpreta
La componente commerciale del suo lavoro – ambiti pubblicitari, progetti per aziende – non snatura la visione d’autore. Anzi, diventa uno strumento per sperimentare. Ferretti è consapevole di muoversi in un contesto contemporaneo fatto di mercato e storytelling, ma prova a “ritrarre” anche in quei contesti, usando la macchina da presa come uno specchio.
Al centro della sua ricerca resta la migrazione, intesa come struttura fondante del proprio sguardo. "La migrazione è stata un concetto fondamentale per la mia creazione. Penso che sia stata la struttura che mi ha aiutato a capire chi fossi", afferma.
Le storie dei migranti di altre epoche, ascoltate con attenzione quasi antropologica, lo hanno guidato a cogliere elementi costanti nella trasformazione. Cambiano le forme, ma certe strutture sociali restano. "Certe cose non cambiano mai. Altre cambicchiano, però c’è una struttura fondamentale della società che sembra non variare mai", dice.
Il suo filo rosso è la memoria. Ma non come nostalgia sterile. La memoria, nei suoi lavori, è una spinta verso l’essenziale. Ferretti lo chiama “minimalismo”, ma è qualcosa di più profondo: il tentativo di cogliere, sotto la complessità, ciò che tiene insieme l’umano.
"Nel mio meccanismo di pensiero ritornavo sempre al concetto di famiglia, di affetto, di appartenenza, al concetto della vita e della morte"”. (aise)