I passi della ricerca (2)

ROMA – focus\aise - Riuscire ad accumulare l’energia solare utilizzando lo zolfo è l’obiettivo del progetto SULPHURREAL, finanziato con quasi 4 milioni di euro dall’Unione europea, nell’ambito del quale ENEA ha realizzato un prototipo sperimentale nei laboratori del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili del Centro Ricerche Casaccia (Roma).
L’idea di base del progetto è di utilizzare l’energia prodotta dal solare a concentrazione per attivare ciclicamente una serie di reazioni chimiche basate su acido solforico e zolfo e/o materie prime a base di zolfo, che possono provenire anche da processi industriali su larga scala.
“Il progetto nasce dall’esigenza di accumulare energia, termica o elettrica, attraverso i cosiddetti solar fuel, di cui un esempio è l’idrogeno. L’idrogeno offre molti vantaggi se utilizzato come vettore per la decarbonizzazione, ma presenta qualche criticità per il suo trasporto e stoccaggio”, spiega Salvatore Sau, ricercatore del Laboratorio energia e accumulo termico. “Lo zolfo, invece, è solido e non presenta difficoltà di trasporto e conservazione. Tuttavia, la sua combustione produce un gas tossico e inquinante, il biossido di zolfo”, aggiunge.
Nel prototipo realizzato (figura 1), l’acido solforico viene fatto evaporare per poi decomporlo in sequenza in anidride solforosa e ossigeno, grazie al calore di una fonte di irradiazione solare a concentrazione. L’anidride solforosa ricavata, che non è emessa nell’atmosfera, reagisce quindi con l’acqua per produrre acido solforico e zolfo elementare. Lo zolfo, a sua volta, immagazzina una parte significativa dell’energia solare utilizzata per decomporre l’acido solforico. Lo zolfo così ottenuto potrà essere bruciato successivamente per rilasciare l’energia solare immagazzinata.
“Il progetto Sulphurreal prevede la realizzazione di un bruciatore per contenere l’acido solforico e decomporlo in zolfo e ossigeno. ENEA sta studiando proprio questo elemento. La soluzione che presenta i vantaggi maggiori – prosegue – sembra sia l’uso di un elettrolizzatore all’interno del quale, con un voltaggio inferiore a 1 volt per produrre zolfo al catodo e una soluzione di acido solforico all’anodo, lo zolfo può essere separato per filtrazione”, conclude Sau.
A questo primo prototipo sperimentale seguirà la realizzazione di un impianto su scala di laboratorio, che permetterà di rendere l’intero processo.
Il riscaldamento globale potrebbe aumentare significativamente la pericolosità degli tsunami nel Mediterraneo nei prossimi decenni. Questo è quanto emerge da due studi appena pubblicati sulla rivista internazionale Scientific Reports dal titolo Including sea-level rise and vertical land movements in probabilistic tsunami hazard assessment for the Mediterranean Sea e nel volume edito dalla Elsevier intitolato "Probabilistic Tsunami Hazard and Risk Analysis", a cui hanno collaborato i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
I risultati, frutto dei progetti europei Savemedcoasts2 e TSUMAPS-NEAM coordinati dall’INGV, evidenziano che il previsto aumento del livello del mare causato dal riscaldamento globale, combinato con i movimenti geologici costieri, potrebbe potenzialmente accrescere il rischio per oltre 150 milioni di persone che vivono in quest’area.
Gli studi analizzano l’impatto dell’innalzamento del livello marino, attualmente di circa 4 mm all’anno ma che è in accelerazione, basandosi sulle proiezioni fino al 2150 fornite dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).
"Alla fine di questo secolo, il livello medio globale del mare potrebbe salire fino a circa 1,1 metri rispetto a oggi", spiega Marco Anzidei, ricercatore dell’INGV, coautore dello studio e coordinatore del progetto Savemedcoasts2. "Questo rappresenta potenzialmente un rischio crescente per le popolazioni costiere del Mediterraneo che non possiamo sottovalutare".
Una delle novità della ricerca è stata l’integrazione delle analisi sui movimenti verticali delle coste, come la subsidenza, che amplificano gli effetti locali dell’innalzamento del livello del mare.
"Nello studio abbiamo considerato come i movimenti geologici possano sommarsi all’innalzamento marino, aggravando il rischio nelle zone dove il suolo tende ad abbassarsi", commenta Anita Grezio, ricercatrice dell’INGV e primo autore dello studio.
Le mappe prodotte dai ricercatori mostrano che, entro i prossimi 50 anni, la probabilità di avere nel Mediterraneo onde di tsunami che causano inondazioni di 1-2 metri potrebbe aumentare dal 10% al 30%.
"Questo significa un significativo incremento del rischio, in particolare per le coste più basse del Mediterraneo, una delle aree più popolate al mondo", sottolinea Marco Anzidei.
L’importanza di queste analisi è cruciale per la pianificazione e la gestione dei rischi nelle aree costiere.
"La nostra ricerca fornisce nuovi strumenti per valutare il pericolo tsunami, integrando scenari futuri che tengono conto sia dei cambiamenti climatici che dei fenomeni geologici", conclude Anita Grezio.
I progetti Savemedcoasts2 e TSUMAPS-NEAM sono stati finanziati dall’Unione Europea e coordinati dall’INGV, contribuendo con risultati chiave alla comprensione dei rischi legati ai maremoti in un’area altamente vulnerabile come il Mediterraneo.
Sparkle, primo operatore di servizi internazionali in Italia e fra i primi nel mondo, ha firmato oggi un protocollo d’intesa con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) per un progetto di ricerca finalizzato all’utilizzo dei cavi sottomarini in fibra ottica per rilevare eventi sismici e altri fenomeni naturali nel Mediterraneo. A siglare l'intesa Carlo Doglioni, presidente INGV, ed Enrico Bagnasco, amministratore delegato di Sparkle.
Attraverso l’utilizzo di tecniche di fiber sensing è possibile rilevare le vibrazioni meccaniche indotte sulle fibre ottiche dei cavi sottomarini da terremoti, eruzioni vulcaniche e onde anomale in tempo reale e in un ambiente di difficile accesso come il fondale marino.
Il protocollo d’intesa suggella una collaborazione già in corso da oltre due anni fra il Gruppo TIM, Sparkle e INGV. I risultati preliminari delle sperimentazioni condotte sono stati presentati al convegno internazionale “Fibre Optic Sensing in Geosciences” tenutosi il 16-20 giugno scorso a Catania. Sparkle e INGV si impegnano a continuare ad esplorare, sperimentare e successivamente sviluppare l'impiego accessorio dei cavi sottomarini in fibra ottica come sensori per fini scientifici e di protezione civile, in particolare per l'identificazione e l'allerta di tsunami e terremoti, il monitoraggio geofisico dei fondali marini.
Le attività condotte finora hanno impiegato il sistema cavo di Sparkle “Mednautilus” che si estende dalla Sicilia lungo il Mediterraneo orientale per una lunghezza totale di 11.000 km, su un fondale che raggiunge i 4.000 m di profondità. Grazie alla sua configurazione ad anello, Mednautilus potrà in futuro offrire anche la possibilità di mappare i movimenti sottomarini in più punti del bacino e quindi localizzare con maggior precisione l'epicentro dei terremoti marini.
Le prime attività sperimentali sono state basate sulla misurazione delle variazioni dello stato di polarizzazione (SOP) dei segnali ottici coerenti che viaggiano sulle fibre ottiche del cavo e che trasportano il traffico digitale. Le nuove sperimentazioni utilizzeranno dati relativi alla fase del segnale e al SOP specifici dei tratti di cavo tra i ripetitori di un cavo sottomarino; questo consentirà di identificare le parti del cavo interessate dalla perturbazione meccanica e di indagarne la propagazione.
“In quanto Ente di Ricerca incaricato della sorveglianza sismica e vulcanica del territorio nazionale in tempo reale, l'INGV rivolge da sempre una particolare attenzione all'innovazione tecnologica per il progresso della ricerca scientifica”, afferma il presidente Doglioni. “È per questo motivo che oggi accogliamo con soddisfazione la sigla dell'accordo con Sparkle che potrà contribuire, con le sue tecnologie, a implementare i nostri strumenti per l'osservazione e la sempre migliore comprensione dei fenomeni naturali”.
“Siamo orgogliosi di collaborare con un’istituzione prestigiosa come INGV e di mettere i nostri cavi sottomarini al servizio della ricerca in un ambito di indagine così prezioso per la salvaguardia dell’ambiente e delle persone”, ha dichiarato Enrico Bagnasco. “Più di cento anni fa come Italcable posavamo il primo cavo transoceanico tra Anzio e Buenos Aires per permettere agli italiani di comunicare con i connazionali emigrati in Argentina. Oggi rinnoviamo questa eredità portando Internet e i servizi digitali in tutto il mondo e spingendo le frontiere delle telecomunicazioni globali oltre la pura connettività per migliorare la qualità della vita delle persone”.
Tra i temi dell’intesa è prevista anche la collaborazione con altri enti che condividono l’attenzione per l’innovazione tecnologica subacquea, primo fra tutti il Polo nazionale della dimensione subacquea (PNS), che ha sede in Liguria a La Spezia, e che riunisce le eccellenze nazionali pubbliche e private operanti nel settore. (focus/aise)