I passi della ricerca

ROMA – focus\aise - Studiare il riscaldamento globale del passato per capire i cambiamenti climatici del presente. Durante la sua lunga storia, la Terra ha sperimentato condizioni climatiche molto diverse, alternando fasi glaciali a periodi di riscaldamento globale che hanno plasmato il pianeta e influenzato l'evoluzione degli organismi. Ancor prima della comparsa dei dinosauri, durante il tardo Paleozoico (circa 300 milioni di anni fa) ebbe luogo una delle glaciazioni più estese, terminata con una fase di riscaldamento che portò alla scomparsa quasi completa dei ghiacciai e delle calotte polari con importanti conseguenze sulla biodiversità.
Un team internazionale di scienziati, tra cui ricercatori dell’Università Statale di Milano, dell’Università la Sapienza di Roma e dell’Università di St. Andrews in Scozia, ha preso in esame la glaciazione del tardo Paleozoico e il suo declino, seguito da un considerevole aumento delle temperature, per comprendere meglio l’attuale emergenza climatica.
I risultati di questo studio, pubblicati sulla rivista internazionale Nature Geoscience, ricostruiscono per la prima volta i livelli atmosferici di CO2 lungo un arco temporale di 80 milioni di anni.
L’atmosfera del passato viene spesso studiata attraverso l’analisi di piccole bolle d'aria inglobate nelle calotte polari, grazie alle quali siamo capaci di ricostruire con precisione le variazioni climatiche fino a circa 800 mila anni fa. Ma la sfida affrontata da questo studio è stata quella di sviluppare metodologie in grado di risalire a un intervallo compreso tra 340 e 260 milioni di anni fa. Sono stati così presi in oggetto i fossili brachiopodi, invertebrati marini con una conchiglia costituita da carbonato di calcio, molto abbondanti durante il Paleozoico e tuttora rappresentati da alcune specie viventi. Dalle analisi è emerso come i livelli di CO2 fossero intimamente connessi all’evoluzione della glaciazione e alla sua fine. I ricercatori hanno infatti misurato bassi livelli di anidride carbonica concomitanti alla formazione di estese calotte polari. Viceversa, l’incremento di CO2, che fu il prodotto di un’intensa attività vulcanica, è risultato contemporaneo a una riduzione globale dei ghiacciai e a un incremento della temperatura superficiale media degli oceani fino a 4 gradi centigradi. E oggi, proprio come è avvenuto 300 milioni di anni fa, il riscaldamento dell'atmosfera, causato dall’aumento della presenza di CO2 e di gas metano, ha innescato una evidente riduzione dei ghiacciai e delle calotte polari.
“I fossili e le caratteristiche geochimiche dei loro resti sono una preziosa fonte di informazioni, che ci permette di ricostruire il clima e gli ambienti in cui questi organismi sono vissuti, anche nel tempo profondo, e confrontare questi dati con i cambiamenti attualmente in atto” afferma Lucia Angiolini, docente del Dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio dell’Università degli Studi di Milano.
“Mentre l’organismo cresce, la sua conchiglia si espande ed incorpora numerosi elementi e composti chimici che vanno a costituire una sorta di archivio per tutto il suo ciclo vitale. Infatti è noto come le conchiglie siano legate alla composizione dell’acqua marina e alla variazione di molteplici parametri tra cui la temperatura e l’acidità (pH)”, sottolinea Claudio Garbelli, docente dell’Università Sapienza di Roma.
“Alcuni elementi presenti nel carbonato di calcio delle conchiglie sono determinati dai valori di pH dell’acqua marina che, a sua volta, dipende dalla quantità di CO2 atmosferica”, aggiunge Hana Jurikova, ricercatrice dell’Università di St. Andrews in Scozia e prima autrice dello studio. “Misurando alcuni degli elementi contenuti nelle conchiglie fossili (quali ad esempio il boro e lo stronzio) e con l’ausilio di sofisticati modelli matematici, siamo stati in grado di ricostruire con una certa precisione la quantità di CO2 presente in atmosfera lungo un arco temporale di 80 milioni di anni, tra 340 e 260 milioni di anni fa”, conclude Jurikova.
Studi come questo, oltre ad evidenziare l’importanza dei fossili come archivi di informazioni utili per comprendere le dinamiche dei cambiamenti climatici e ambientali avvenuti nel passato, rappresentano una fonte di dati indispensabile per sviluppare modelli predittivi dei fenomeni attualmente in atto e del loro impatto sulla biodiversità.
Il payload LuGRE (Lunar GNSS Receiver Experiment), progettato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dalla NASA, sviluppato per testare l’utilizzo combinato delle costellazioni satellitari GPS e Galileo, ha fissato un nuovo limite di distanza Terra-Luna da cui ottenere il posizionamento satellitare. Ne dà notizia l’Asi spiegando che è stato acquisito con successo il segnale in due frequenze di 5 satelliti (3 GPS e 2 Galileo) a una distanza di 331.000 km, a circa 53 raggi terrestri. Si tratta – sottolinea l’Agenzia spaziale italiana – di un risultato mai ottenuto prima, che conferma la fattibilità di utilizzo di costellazioni GNSS terrestri per la navigazione ad una distanza prossima a quella lunare. Dimostra inoltre l'efficacia dell'uso combinato di più costellazioni GNSS per la navigazione, un obiettivo su cui la comunità globale lavora da oltre 20 anni.
Questo risultato – spiega l’Asi – “non è solo una dimostrazione delle capacità del sistema LuGRE, ma rappresenta anche un passo cruciale verso il futuro utilizzo del payload in orbita lunare. La distanza record raggiunta dal sistema è infatti prossima all’orbita lunare (circa 59 raggi terrestri), e i dati raccolti suggeriscono che LuGRE sarà in grado di operare con successo anche in questo contesto, garantendo la disponibilità di dati di posizionamento accurati e affidabili. Con questo risultato, due dei requisiti principali della missione sono stati raggiunti: l’ottenimento delle misurazioni GNSS per ciascun satellite e costellazione e il calcolo in tempo reale del posizionamento e della velocità”.
Il team di LuGRE localizzato tra il Goddard Space Flight Center della NASA, a Washington, a Bassano del Grappa nella sede di Qascom e al Politecnico di Torino, continua ad operare con ritmi serrati sull’analisi dei dati per ottimizzare al meglio i risultati.
LuGRE è stato realizzato in Italia dalla società Qascom per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana con la collaborazione scientifica del Politecnico di Torino. Il ricevitore è posizionato sul lander commerciale Blue Ghost realizzato negli USA dalla società Firefly e sviluppato nell’ambito del programma CLPS (Commercial Lunar Payload Program) della NASA. (focus/aise)