I passi della ricerca

ROMA – focus/ aise – Una nuova scoperta dell’esperimento LHCb, attivo al CERN di Ginevra, ha portato all’osservazione di un rarissimo tipo di decadimento di una particella subatomica chiamata barione sigma-plus (Σ⁺). Il fenomeno, previsto dal Modello Standard della fisica delle particelle, è talmente raro da avere una probabilità di accadere pari a una su cento milioni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Physical Review Letters, è stato coordinato da Francesco Dettori, professore associato di Fisica sperimentale all’Università di Cagliari e associato INFN, e da Francesca Dordei, docente di ricerca di nuova fisica oltre il modello standard alla magistrale di Fisica e ricercatrice dell’INFN – Sezione di Cagliari, in collaborazione con la sezione INFN di Perugia e l’Università di Santiago de Compostela.
Il decadimento osservato – che trasforma un barione Σ⁺ in un protone, un muone e un antimuone – rappresenta il decadimento più raro mai misurato per questo tipo di particella, spiega l’ateneo sardo. I dati raccolti confermano in modo estremamente preciso le previsioni del Modello Standard, la teoria che descrive tre delle quattro forze fondamentali della natura e le particelle che le trasportano.
“Il Modello Standard è oggi la teoria più solida e verificata della fisica delle particelle – spiega Francesca Dordei – ma non riesce ancora a spiegare fenomeni osservati nell’universo, come la materia oscura o il predominio della materia sull’antimateria. Per questo è importante esplorare anche i processi più rari: potrebbero contenere indizi di nuove leggi della fisica”.
L’analisi si è basata su una mole di dati immensa: circa cento milioni di miliardi di collisioni tra protoni raccolte da LHCb tra il 2016 e il 2018. Grazie anche all’uso di tecniche avanzate di machine learning, è stato possibile isolare e studiare circa 250 casi compatibili con il decadimento raro del barione Σ⁺.
“Siamo riusciti a osservare con grande chiarezza un fenomeno previsto dalla teoria ma mai confermato sperimentalmente – sottolinea Francesco Dettori –. È un risultato importante, che rafforza la validità del Modello Standard e dimostra quanto sia ancora efficace cercare segnali di nuova fisica attraverso i decadimenti rari. Esistono molte teorie che estendono il Modello Standard – conclude Dettori – ma non sappiamo quale, se qualcuna, si rivelerà corretta. È per questo che serve una strategia ampia, capace di cogliere ogni possibile segnale fuori dal previsto”.
Le prime indicazioni dell’esistenza di questo decadimento risalgono a vent’anni fa, ma i dati dell’epoca non erano sufficienti a confermarlo. Ora, grazie alla sensibilità e precisione dell’esperimento LHCb, il processo è stato finalmente verificato.
Il cancro del colon-retto (CRC) è la seconda causa di morte per tumore al mondo. Nonostante sia divenuto molto più curabile negli ultimi anni, le terapie non sono ancora efficaci in tutti i pazienti. L’ancora elevato tasso di mortalità per questo tipo di tumore è dovuto soprattutto alla capacità di diffondersi in altre parti del corpo, facendo insorgere metastasi in una rilevante frazione di pazienti.
In questo contesto, le cellule “natural killer” (NK) sono un tipo di globuli bianchi appartenenti al sistema immunitario innato, che possono aiutare a contrastare la diffusione del tumore. Il loro nome deriva proprio dalla capacità di riconoscere e distruggere spontaneamente le cellule tumorali e inibire la formazione di metastasi. Nonostante ciò, rimane ancora poco chiaro il comportamento delle cellule “natural killer” a metastasi già formate, in particolare nel fegato.
In una ricerca sostenuta dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, l’immunologo Giovanni Bernardini e colleghi hanno studiato il ruolo specifico delle cellule NK nell’ambiente metastatico, per comprendere come proteggerne e preservarne meglio le capacità anti-tumorali. Coordinata dal Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università La Sapienza di Roma, la ricerca è avvenuta in collaborazione con diversi gruppi nazionali e internazionali. I risultati, pubblicati sul Journal of Clinical Investigation, hanno mostrato un meccanismo naturale di difesa che può aiutare a rallentare la crescita delle metastasi epatiche.
In particolare il gruppo guidato da Benardini, professore di Immunologia presso Sapienza, ha dimostrato che non tutte le metastasi al fegato sono uguali. Alcuni tipi formano dei microambienti in cui l’attività delle cellule NK è potenziata, grazie alla presenza di molecole in grado di promuovere la persistenza di queste cellule e la loro capacità di attaccare il tumore.
Nello studio i ricercatori hanno analizzato metastasi epatiche ottenute sia da topi sia da biopsie di pazienti, trovando in entrambi i casi che un tipo specifico di macrofagi, i cosiddetti “spazzini” del sistema immunitario, è in grado di insegnare alle cellule “natural killer” come attivarsi correttamente e attaccare le cellule tumorali.
“Per fare ciò – spiega Giovanni Bernardini – i macrofagi producono due chemochine. Si tratta di particolari proteine, chiamate CXCL9 e CXCL10, che, come dei messaggeri chimici, attirano le cellule NK all’interno delle metastasi e creano un ambiente che permette a queste cellule di attivarsi”.
Alcuni risultati raccolti evidenziano la notevole importanza delle chemochine CXCL9 e CXCL10. In particolare, in topi con un deficit del recettore CXCR3, che permette di “sentire” gli effetti di queste due proteine, si osserva una inibizione delle cellule “natural killer” e la successiva accelerazione della crescita delle metastasi.
Nel complesso i dati pubblicati dimostrano che una corretta cooperazione tra macrofagi e cellule “natural killer” è fondamentale per attivare una risposta immunitaria in grado di limitare la diffusione del tumore del colon-retto, aprendo nuove prospettive terapeutiche basate sul potenziamento di questo network. (focus\aise)