I volti del Made in Italy

ROMA – focus/ aise – Si intitola “Modelli di governance e strategie di crescita” la XI edizione del “Food industry monitor 2025”, l’osservatorio sulle performance e sui modelli di business delle aziende italiane del food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors.
Presentato ieri a Pollenzo, il rapporto di quest’anno certifica la crescita solida del settore food, un export in forte espansione - nel 2025 previsto un +7,3%, trainato da comparti chiave come vino (oltre 8 miliardi € di export), con l’incognita delle politiche doganali USA – e il protagonismo delle imprese familiari che rappresentano il 67% del settore.
Il Food Industry Monitor ha analizzato le performance di un campione di oltre 860 aziende, con un fatturato aggregato di circa 87 miliardi di Euro, attive in 15 comparti del settore food. Sono state analizzate le performance storiche delle aziende del settore dal 2009 al 2024 con un focus su crescita, export, redditività, produttività e struttura finanziaria. Per ogni comparto, quindi, sono state elaborate previsioni biennali (2025-2026) sulla crescita del fatturato e dell’export e sull’andamento della redditività.
I DATI
PERFORMANCE 2024, PROIEZIONI 2025 E PREVISIONI PER IL 2026
Nel 2024, i ricavi del settore sono cresciuti del 5,9% confermando performance superiori rispetto all’economia italiana, con un PIL nazionale fermo sullo 0,7%. Il settore mostra buoni livelli di redditività commerciale con un ROS al 5,7% un ROIC al 6,9%, valori positivi, anche se in lieve calo rispetto agli anni precedenti. La solidità finanziaria resta elevata con un indice di indebitamento pari ad 1,19 (mezzi di terzi su mezzi propri).
Per il 2025, il settore food dovrebbe confermare, con un 4,6% il trend positivo, seppure con tassi leggermente inferiori rispetto all’anno precedente. Per il 2026 si prevede una crescita dei ricavi del +4,4%.
Il mercato interno dovrebbe tenere grazie alla positiva dinamica dell’occupazione, che dovrebbe stimolare i consumi e quindi la domanda di prodotti del settore food. La crescita dei salari resta una variabile fondamentale per un salto di qualità dei consumi interni. La positiva evoluzione degli investimenti industriali conferma come l’industria italiana, in particolare quella del food, stia rispondendo alla sfida della produttività. A livello di comparto, nel 2025 cresceranno significativamente farine (+9,9%), caffè (+6,9%), olio (+6,3%) e surgelati (+5,6%).
EVOLUZIONE DELL’EXPORT
L’export (in valore a prezzi correnti) del settore food, per i comparti analizzati dal FIM (con i relativi codici ATECO), registrerà una crescita del 7,3% nel 2025, leggermente inferiore rispetto al +8,2% del 2024. Le previsioni restano positive anche per il 2026, con un incremento stimato del 7%.
L’export relativo ai comparti mappati dal Food Industry Monitor ha raggiunto i 47 miliardi di euro, di cui circa il 13% destinato agli Stati Uniti. Il vino, da solo, genera esportazioni per oltre 8 miliardi di euro, con circa il 30% del totale diretto verso gli USA.
Le esportazioni del comparto food (incluso il vino) sono cresciute del 5,5% nel 2024, in netta ripresa rispetto al -1,6% registrato nel 2023. Tuttavia, è evidente che le politiche dell'amministrazione americana in materia di importazioni potrebbero avere effetti significativi sulle vendite negli USA.
FOCUS SU AZIENDE FAMILIARI, GOVERNANCE E PERFORMANCE
Per la XI edizione del Food Industry Monitor, è stato sviluppato un focus specifico sugli assetti istituzionali e sui modelli di governance adottati dalle imprese. Il settore food si conferma fortemente caratterizzato da una presenza di imprese familiari, che rappresentano il 67% del campione analizzato (870 aziende). Le analisi sono state condotte anche a livello di comparto. I comparti delle farine (95%), distillati (83%), olio (82%) e caffè (81%) superano l’80% di aziende a proprietà familiare. Anche in comparti caratterizzati dalla presenza di grandi players internazionali, come surgelati, birra e vino, le aziende familiari rimangono prevalenti, seppur con un’incidenza di poco superiore al 50%
La governance delle imprese varia in base alla natura proprietaria: nelle aziende familiari, il 75,8% è gestito tramite Consiglio di Amministrazione, mentre il 24,2% è guidato da un Amministratore Unico. Nelle aziende non familiari la struttura è più formalizzata, con una netta prevalenza del CdA (93,6%) e una marginale presenza dell’Amministratore Unico (6,4%). Dal punto di vista della composizione di genere dei CdA si evidenzia come le aziende familiari presentino una quota di donne nei CdA del 24,7%, sensibilmente più alta rispetto al 10,1% rilevato nelle aziende non familiari.
Il settore del food evidenzia una buona longevità delle imprese, infatti il 53,3% delle aziende familiari del campione è guidata da esponenti della terza generazione, mentre un ulteriore 36,8% ha superato la terza, solo il 9,9% delle aziende è guidata dalle prime due generazioni. I comparti con la prevalenza di aziende di prima e seconda generazione sono: farina, pasta distillati e dolci. I comparti con le aziende più longeve, arrivate oltre la terza generazione, sono: birra, olio, farine e acqua.
Dal punto di vista delle performance economiche, le aziende familiari si distinguono per risultati mediamente superiori alle non familiari. Il ritorno sul capitale investito (ROI) e il Return on Equity (ROE) sono sensibilmente superiori per le aziende familiari.
In generale, per tutte le aziende, i modelli di governance evoluti determinano performance superiori. In particolare la presenza di una leadership collegiale, cioè una distribuzione delle deleghe tra più figure, migliora significativamente le performance, con effetti positivi sui principali indici di redditività. Ancora più rilevante è l'effetto positivo della presenza di amministratori che siano anche parte della compagine proprietaria: la presenza nei CdA di consiglieri-azionisti, infatti, porta a un miglioramento significativo del ROA. Nelle imprese familiari, la presenza di un presidente familiare, che esercita il ruolo di collegamento strategico tra famiglia e impresa, ha un’influenza rilevante sulle performance reddituali.
I consumi complessivi di vino italiano negli Stati Uniti nel mese di maggio sono calati del 10,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta di una delle contrazioni più nette di un ultimo triennio sempre in perdita, che fa scendere i consumi nei primi 5 mesi dell’anno a -6,3% sia a volume che a valore. È quanto rileva l’osservatorio di Unione Italiana Vini con le elaborazioni su base Sipsource relative agli scarichi di vino dai magazzini dei distributori per le merci pronte al consumo.
Il dato è leggermente inferiore rispetto alla media generale della domanda di vino negli Usa, che paga con un tendenziale a -14,4% a maggio e un -9% nei primi 5 mesi dell’anno.
“Negli Usa si registra un calo progressivo dei consumi di vino preoccupante, e le etichette italiane non ne sono esenti”, ha commentato il presidente UIV, Lamberto Frescobaldi. “L’imposizione di dazi da parte dell’America rischia di infliggere un colpo fatale ad un mercato già stagnante, fondamentale per il made in Italy e per le storiche relazioni tra Italia e Stati Uniti. Dobbiamo ridiscutere l’attuale assetto del vino italiano, e questo confronto – ha concluso – sarà alla base della prossima assemblea nazionale, il 3 luglio a Roma”.
L’Italia è una meta sempre più apprezzata dai turisti stranieri. E così crescono anche le opportunità per le imprese nostrane. Questo è quanto spiegato ieri, a Palazzo Baldassini a Roma, durante la presentazione della prima edizione del Rapporto “Tourism and Incoming Watch”, elaborato da Nexi con la direzione scientifica dell’Osservatorio Nazionale del Turismo del Ministero del Turismo.
Secondo i dati raccolti, nel 2024 il valore della spesa con carta dei viaggiatori stranieri sul territorio italiano ha superato i 20,9 miliardi di euro, in crescita del 37,9% rispetto al 2022.
Dall’analisi emerge, inoltre, che la spesa di viaggiatori provenienti da nuove aree geografiche sta crescendo rapidamente, suggerendo un allargamento dell’interesse verso l’Italia come meta turistica e conseguenti opportunità di crescita significative. In particolare, sono i viaggiatori provenienti dal Brasile e dall’Australia ad aver fatto registrare i più alti tassi di crescita, attestandosi rispettivamente al +155% e +100%. Con oltre 3,8 miliardi di euro spesi, i turisti statunitensi si confermano i più fidelizzati in Italia (18,3% del totale incoming), mentre i viaggiatori provenienti dai Paesi arabi sono quelli più “alto-spendenti” con una spesa media per carta pari a più del doppio rispetto a quella di tutti gli altri Paesi (913 euro per l’Arabia Saudita e 822 euro per Emirati Arabi Uniti, contro una media di 411 euro).
A livello di distribuzione sul territorio, il 75% del valore del turismo incoming è generato da 20 province che rappresentano un nucleo consolidato di destinazioni attrattive su cui si possono costruire strategie di crescita. Le città d’arte (Roma, Milano, Venezia, Firenze, Napoli) si confermano i maggiori driver economici che attraggono elevati volumi di spesa, costanti tutto l’anno. Anche andando ad analizzare i più battuti itinerari turistici, la stagionalità della spesa risulta essere in costante diminuzione nella quasi totalità del territorio italiano, indicando che il nostro Paese è una meta che attrae tutto l’anno.
Tra gli itinerari turistici più apprezzati, le tappe Roma-Napoli e Pompei-Costiera Amalfitana sono quelle che insieme hanno generato il maggior giro d’affari per il terzo anno di fila (+31% nel periodo 2022-2024), ma è il percorso Roma-Firenze-Venezia quello che nello stesso periodo ha registrato la crescita maggiore (+69,2%), lasciando intuire un possibile sorpasso nel 2025.
Per quanto riguarda le abitudini di consumo dei viaggiatori stranieri in Italia, i ristoranti e le strutture ricettive attraggono quasi il 50% delle spese a destinazione (49,6%), seguiti da moda e accessori (12,2%) che catalizzano in particolare la spesa di una nicchia ad alto potenziale economico rappresentata dai viaggiatori della Penisola Araba (30,6% del loro budget) e del Sud-Est Asiatico (30%). Questi ultimi, in particolare, risultano essere molto attratti anche dalla gioielleria italiana e dagli acquisti nei grandi magazzini arrivando a destinarci rispettivamente il 9,8% e il 12% del loro budget, cinque volte di più di quanto spendono in media i viaggiatori stranieri (2,2% e 2,2%).
L’incontro a Palazzo Baldassini a Roma è stato anche l’occasione per un momento di confronto e analisi del ruolo sempre più centrale che riveste il turismo internazionale nello sviluppo economico del nostro Paese. A tale proposito, è intervenuto la Ministra del Turismo, Daniela Santanchè.
“Questi numeri certificano l’alto valore strategico dei pagamenti digitali dei turisti esteri che contribuiscono in maniera rilevante al benessere del comparto e al PIL dell’intera Nazione. Importante sottolineare la costante diminuzione della stagionalità della spesa turistica, nella totalità del territorio italiano, segno che l’Italia è una meta capace di generare ricchezza durante tutto l’anno, e non solo nei mesi canonici”, ha dichiarato la Ministra. “Io credo che il rapporto di oggi ci presenti aspetti molto significativi sull’attuale stato di salute e sulle prestazioni del turismo italiano. Aspetti positivi che però non devono rappresentare i proverbiali allori su cui adagiarci. Anzi. È esattamente da questi aspetti positivi che dobbiamo trarre spunto per fare meglio e per fare di più. L’obiettivo da perseguire, persistendo sul percorso già tracciato e che sta dando i primi frutti, è il rendere strutturali questi risultati. Per un’industria turistica che sia – insieme – performante, ricca e sostenibile.”
“In questa prima edizione del Rapporto Nexi, abbiamo messo a disposizione del Ministero del Turismo e del suo Osservatorio Nazionale del Turismo il nostro know-how e la profonda conoscenza dei comportamenti dei consumatori, con l’obiettivo di supportare il Paese nella costruzione di uno strumento strategico per l’analisi, il monitoraggio e la comprensione delle dinamiche economiche e sociali del settore turistico in Italia. Tale contributo è particolarmente rilevante in un contesto di rapidi cambiamenti, in cui è fondamentale cogliere le sfide e valorizzare le opportunità offerte dal turismo per la crescita sostenibile del nostro sistema Paese”, ha dichiarato Marcello Sala, Presidente di Nexi. “Questa collaborazione rafforza ulteriormente il ruolo centrale di Nexi come infrastruttura strategica del Paese e attore chiave nello sviluppo dei pagamenti digitali, a servizio dell’innovazione e della competitività del sistema economico italiano.”
“Questi dati e insight sono rilevanti sia per i policy maker a livello centrale, regionale e locale, che per le imprese e per tutti gli attori della filiera, perché ci consentono di avere un quadro conoscitivo, soprattutto in termini di spesa e di scelte di acquisto da parte del viaggiatori internazionali, fondamentale per poter assumere decisioni appropriate”, ha commentato la Presidente dell’Osservatorio Nazionale del Turismo, Magda Antonioli. “L’ONT, ora a regime, svolge un ruolo importante, non soltanto di collettore di informazioni preziose e tempestive, ma anche di facilitatore di una lettura proattiva del fenomeno. Un passaggio fondamentale per la governance, la promozione e le scelte aziendali, e particolarmente utile in momenti di volatilità dei mercati. Non si stratta quindi solo di avere una cornice statistica, ma una vera e propria data literacy a disposizione dell’intero comparto turistico, degno del ruolo che detiene nel sistema produttivo nazionale.” (focus\aise)