Italiani nel mondo e dove trovarli (2)

ROMA – focus/ aise – È in programma domani,15 aprile, alle ore 16.30 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (via Monte di Dio, 14) la presentazione del libro “Napoli/New York andata e ritorno. La comunità italiana dello spettacolo e la nascita del cinema italoamericano” della professoressa Giuliana Muscio, docente presso l’Università di Padova. Al centro del dibattito il tentativo di far rientrare in Italia alcuni titoli “napoletani” realizzati a New York negli anni Trenta. Sarà l’occasione per parlare di cinema, emigrazione, talento italiano nel mondo e di turismo delle radici.
“L’iniziativa nasce dalla collaborazione con Italea, il programma di promozione del turismo delle radici, lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nell’ambito del progetto PNRR e finanziato da NextGenerationEU - spiega la professoressa Muscio - è fondamentale, prima di invitare i figli e i nipoti della diaspora italiana a fare un viaggio delle radici in Italia, riconoscere il contributo che i nostri emigrati hanno dato allo sviluppo culturale e materiale dei Paesi in cui si sono stabiliti. Questo riconoscimento è essenziale per risvegliare in loro il desiderio di riscoprire le proprie radici. “Napoli/New York andata e ritorno” è un viaggio nella cultura dello spettacolo napoletano, con un focus particolare sul cinema muto e sulla sua diffusione negli Stati Uniti”.
All’appuntamento parteciperà Giovanni Maria De Vita, Consigliere d’Ambasciata e responsabile del Progetto Turismo delle Radici presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. De Vita sottolinea l’importanza dei film napoletani girati a New York negli anni Trenta: “queste opere non solo rappresentano una testimonianza storica, ma fungono anche da ponte culturale tra l’Italia e la diaspora. Valorizzare e riportare in Italia questi film significa riconoscere e celebrare la storia di una comunità. Il legame tra cinema ed emigrazione offre spunti di riflessione su temi universali come l’identità, la nostalgia e il sogno americano, rendendo queste opere sempre attuali”.
L’incontro, condotto dal professor Arturo Martorelli, si articolerà in una tavola rotonda sul cinema muto napoletano, con la partecipazione di esperti e studiosi tra cui: Francesco Cotticelli, docente di Discipline dello Spettacolo all’Università degli Studi di Napoli Federico II, Diego Del Pozzo, professore presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, Simona Frasca, docente di etnomusicologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II, lo storico dell’arte e del cinema Mario Franco e Paolo Speranza, direttore di “CinemaSud”.
Durante l’evento si ricostruirà la storia di una ventina di film realizzati dalla comunità italiana a New York negli anni Trenta, con un collegamento alla tradizione della canzone napoletana.
Saranno presentati frammenti di film “napoletani” girati a New York negli anni Trenta. A conclusione dell’evento, si discuterà la creazione di un fondo di studio dedicato alla digitalizzazione e conservazione di questi preziosi materiali in Italia.
Mercoledì prossimo, 22 aprile, verrà celebrata a Miami la Giornata della Ricerca Italiana nel Mondo. Ad organizzare l’evento sono la Miami Scientific Italian Community, la California Scientific Italian Community, Star Italia Accelerator e la Texas Scientific Italian Community, che intendono così confermare il loro sostegno all’ecosistema italiano dell'innovazione con un intervento d’insieme sul territorio.
Ospiti della Miami Scientific Italian Community saranno i protagonisti delle diverse realtà scientifiche italiane e non mancheranno collegamenti con i laboratori nazionali di molti degli associati Msic. È prevista fra gli altri la partecipazione di: Maria Carmela Basile, responsabile dell’Unità Valorizzazione della Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); Claudia Brunori, direttrice del Dipartimento per la sostenibilità di ENEA; e Sabrina Lucibello, direttrice del Centro di ricerca e servizi Saperi&Co dell’Università La Sapienza di Roma. Modererò gli interventi Paolo Gaudenzi, consigliere per la Scienza e la Tecnologia del Consolato Generale d’Italia a Boston.
L’inizio della conferenza è previsto alle ore 14:30.
Il tema proposto sarà quello del modello italiano sul trasferimento tecnologico e l’offerta delle Università e dei Centri di ricerca sulla cooperazione internazionale. Definire il trasferimento tecnologico è un’attività impegnativa, soggetta a dinamiche ogni volta nuove. Capita che l’uditore, per quanto spesso attrezzato di competenze multidisciplinari e solide, con difficoltà riesca a mascherare la propria incertezza di fronte all’oratore esperto di trasferimento tecnologico, una materia affascinante e ostica da spiegare allo stesso tempo. Con TT si intende descrivere la sequenza di una serie di attività concatenate fra loro all’interno di un percorso di innovazione, sviluppate da un qualsiasi team di ricerca, sia pubblica sia privata, spesso con il supporto di altri partner di innovazione (industrie, consulenti, venture builder e venture capital), atte a trasformare le competenze e i risultati scientifici ottenuti in prodotti innovativi, utili per il mercato e, dunque, a esso trasferibili.
“Una valigia di cartone per riporre i sogni, e un treno a cui affidare la speranza”. Questa immagine, oggi forse un po’ sbiadita dal tempo, continua a parlarci con forza. Le valigie di cartone non esistono più, certo, e nemmeno quei treni affollati in partenza dalle stazioni del sud, carichi di speranze e promesse. Oggi si viaggia in aereo, si parte con un biglietto elettronico e con uno smartphone in tasca. Ma la sostanza non è cambiata. Ancora oggi si lascia l’Italia per cercare qualcosa che qui sembra mancare: un futuro, un’opportunità, una vita dignitosa. I sogni continuano ad avere bisogno di una valigia, e la speranza resta legata a un mezzo di trasporto, qualunque esso sia. Ma tutto questo, a che prezzo?
Se ripercorriamo la storia dell’emigrazione italiana, scopriamo una realtà impressionante: tra il 1860 e il 1985, oltre 29 milioni di italiani hanno lasciato il Paese. Un numero enorme, superiore alla popolazione dell’intera nazione al momento dell’Unità d’Italia. Partirono famiglie intere o singoli individui, e raggiunsero ogni angolo del mondo occidentale. Molti non fecero più ritorno. Alcuni morirono lontano, nei cantieri, nelle miniere, nelle fabbriche, vittime della fatica, delle malattie, o della solitudine. Di loro si è parlato poco, troppo poco.
Oggi, paradossalmente, sembra che si voglia cancellare quella memoria collettiva, quasi fosse una pagina da dimenticare. Si approvano leggi e decreti che ignorano, quando non sminuiscono, la realtà degli italiani all’estero. In certi casi si ha perfino l’impressione che si provi imbarazzo di fronte all’esistenza di questa “altra Italia”, fatta di cittadini che hanno scelto o dovuto scegliere l’esilio economico. Come se l’italianità fosse legittima solo entro i confini nazionali.
Eppure, questa italianità emigrata ha dato frutti straordinari. Gli italiani nel mondo si sono distinti per capacità di adattamento, spirito di sacrificio e talento. In molti Paesi sono diventati parte integrante del tessuto sociale e politico, contribuendo allo sviluppo di intere comunità. Hanno saputo conservare la propria identità senza rinunciare all’integrazione. In tanti luoghi, oggi, l’italiano non è più visto come “l’emigrante”, ma come un esempio positivo di integrazione riuscita.
Chi ha vissuto l’esperienza della migrazione sa bene cosa significhi. Emigrare è un atto carico di coraggio, ma anche di rinunce profonde. È lasciare indietro una parte di sé: la propria casa, gli affetti, le radici. È affrontare la solitudine, l’incertezza, la nostalgia che si fa più pungente nelle notti silenziose o durante le feste tradizionali. È accorciare le distanze con la mente, cercando di far sembrare i chilometri più brevi, immaginando di poter abbracciare ancora, almeno per un istante, un genitore, un fratello, una nonna.
E se oggi, con un’Europa apparentemente più unita, il termine “emigrato” sembra meno marcato, la realtà ci racconta che chi parte lo fa ancora per necessità. La forma cambia, ma la sostanza resta: si continua a emigrare perché non si trovano, in patria, le condizioni per realizzarsi. Non si parte mai per capriccio, ma per mancanza di alternative.
Sono convinto che chi è partito, oggi come ieri, porta dentro di sé una ferita che non si rimargina mai del tutto: quella del distacco. Ma sono altrettanto convinto che, proprio per questo, dobbiamo sentirci responsabili gli uni degli altri. Quando incontriamo un nostro connazionale in difficoltà, non voltiamoci dall’altra parte. Aiutiamolo, anche solo con una parola, un gesto, un sorriso. Anche solo per risparmiargli quella maledetta sensazione di solitudine che noi, da italiani all’estero, conosciamo fin troppo bene.
Perché l’emigrazione non è solo un fenomeno statistico: è una storia di vite, di speranze, di dolori e di riscatti. E questa storia è la nostra. (focus\aise)