La voce degli eletti all’estero (2)

ROMA – focus/ aise – “La sinistra deve usare un linguaggio più popolare, che è il contrario dell’essere populista”, ha affermato Francesca La Marca (PD) in una intervista rilasciata ad Aldo Torchiaro e pubblicata ieri dal quotidiano Il Riformista. Un’intervista in cui la senatrice italocanadese riflette sul risultato delle recenti elezioni presidenziali americane, ma anche sulla politica nel nostro Paese.
Riportiamo di seguito il testo integrale dell’articolo.
“Francesca La Marca, senatrice Pd eletta nel collegio estero dell’America settentrionale e centrale, ha seguito da vicino – coinvolgendo anche i suoi elettori – la campagna elettorale di Kamala Harris.
La sconfitta della Harris deve indurre a riflettere anche i dem italiani…
“A posteriori è facile criticare. La realtà è che ha svolto un’ottima campagna elettorale in soli 101 giorni. L’America ormai da molto tempo è del tutto divisa. Ho percepito molta speranza da parte dell’America progressista, non per la continuità con Biden ma per la svolta rappresentata da Harris: una donna, una donna di colore sarebbe stata una novità importante. Ma ha prevalso un sentimento di rabbia. Di chiusura. L’ho visto e percepito ed era inaspettato a questi livelli”.
Quando ha capito come sarebbe andata?
“Quando ho parlato con la comunità italo-americana e ho capito che avrebbe preso molto consenso anche da loro. Avevo la sensazione che Trump fosse in vantaggio, avevo capito che tanti che avevano votato dem stavano diventando trumpisti, ma questi numeri hanno sbalordito tutti. E insisto su un punto: il voto di Trump non è necessariamente un voto di destra, ma un voto che unisce e recupera delusioni diverse”.
Progressisti in caduta libera alle elezioni, senza idee su welfare, tasse e sicurezza. Torniamo sulle ragioni della divisione? Cosa contribuisce a spaccare così in due fazioni opposte gli americani?
“Va detta una cosa: la mentalità, la filosofia di vita dello statunitense medio è agli antipodi dell’europeo medio. Sa cosa lo muove in primis? Le esigenze primordiali, all’affitto, il prezzo della benzina. Quasi esclusivamente, e molto più delle tematiche ambientali, del clima, della geopolitica. Queste cose in America non appassionano nessuno, salvo una netta minoranza. Si sono create perciò due Americhe, una colta, globalizzata, filoeuropea che stava con Obama, Biden, Harris. Un’altra America profonda che si vede poco, all’estero, ma in patria incide eccome”.
E non lo sapeva, Kamala Harris?
£Lei ha fatto quello che poteva anche nel comunicare ai più lontani dalla politica, ma la presa di Trump sull’americano medio è stata prevalente, come dimostrano i numeri”.
Il tema delle guerre ha pesato?
“L’americano medio non capisce la guerra in Ucraina. Vede i suoi soldi che finiscono in un buco nero di spese militari sulle quali non ha contezza. Non ne capisce l’urgenza, non ne vede il bisogno. Bisogna ripensare alla politica come luogo della mediazione, non si può chiedere a chi non lo è di diventare appassionato di geopolitica, bisogna parlare con un linguaggio più semplice e misurarsi sul terreno che è reale oggetto di contesa elettorale. Tasse, lavoro, sicurezza sono gli argomenti che incidono, parlare di altro può essere più coerente, più identitario, ma non è premiante”.
E adesso quali saranno le conseguenze sulle nostre relazioni Italia-Usa?
“Difficile fare previsioni con un personaggio imprevedibile come Trump, lo scopriremo solo vivendo”.
C’è una lezione che i democratici italiani possono trarre da questa lezione americana?
“C’è una grande crisi della sinistra in tutto il mondo, ma qualcosa bisogna fare, a partire da un ritorno al dialogo diretto con chi lavora, per misurarsi più da vicino con le questioni che stanno a cuore (e nelle tasche) degli elettori. La lezione è che in primis quando la gente si sente depauperata, non riesce più a rispondere ai suoi bisogni primari, diventa individualista, egoista. È un tratto umano. E allora bisogna scendere dal piedistallo, dare risposte concrete a problemi concreti. La sinistra è vista come élite, come establishment. Deve mostrarsi più pragmatica. Popolare in senso dialettico, che forse è il contrario dell’essere populista”.
E allora rispetto ai temi di nicchia, i nuovi diritti, la crisi climatica, che cosa devono fare i democratici?
“Sono temi importanti e che riguardano tutti noi, ma non possono sintetizzare certo tutti i bisogni della classe media. Bisogna lavorare sul potere d’acquisto, sul diritto ad abitare, sulla precarietà del lavoro”.
Cosa prevede, per il futuro?
“Vedremo la crisi anche in Canada: Justin Trudeau è nel momento più basso della sua popolarità, l’anno prossimo si vota in Canada e a quanto dicono i sondaggi ha alte probabilità di vincere un esponente della destra ultranazionalista, Pierre Poilievre. Il Trump canadese. L’effetto-domino di Trump non si ferma””.
“Il voto della Camera di oggi all’iniziativa Gcap (International Government Organization) è positivo e importante per il nostro Paese. Il programma rappresenta un modello di cooperazione internazionale nel settore della difesa con alleati strategici. In un momento di forti tensioni geopolitiche è importante, per l’Italia, rafforzare le partnership con alleati storici come il Regno Unito e il Giappone”. A dichiararlo è la deputata di Azione eletta in Europa, Federica Onori, segretaria della Commissione Esteri alla Camera intervenuta in aula sul ddl di ratifica per la Convenzione sull’istituzione dell’organizzazione governativa internazionale Gcap.
“Eppure questa iniziativa non è nuova: l’idea parte già a dicembre 2020, ovvero in piena pandemia, tra Italia, Regno Unito e Svezia – ha aggiunto la deputata -. Ed è bene ricordare come parte delle opposizioni che oggi votano contro, all’epoca erano forze di governo che esprimevano addirittura il presidente del Consiglio. Ma si sa, in Italia i temi della difesa e della politica estera vengono utilizzati senza scrupoli da alcuni solo per racimolare facile consenso. E se pensiamo che parliamo della sicurezza nazionale, questo atteggiamento non si può classificare che come vergognoso”, ha concluso la deputata di Azione.
“Siamo estremamente contrari a quella che di fatto è una nuova tassa di 600 euro sulle spalle degli italiani nel mondo, una misura che consideriamo un vero e proprio attacco nei confronti degli italiani all'estero e che presenta tratti di incostituzionalità, perché è stata evidentemente pensata soltanto per i ricchi, per coloro che possono permettersi di pagare cifre del genere, quando soprattutto in certi Paesi del mondo sono in pochi a poter contare su certe cifre”. Così il Vice Presidente del Maie Vincenzo Odoguardi a commento della misura prevista dalla Legge di bilancio all’esame della Camera.
“Non capiamo come mai – sottolinea – da questo Governo di destra, guidato dalla leader di un partito che dovrebbe essere sensibile alle necessità dei connazionali residenti oltre confine, arrivino certi pesanti attacchi. Nel dettaglio, all'art. 106 della manovra, che riguarda la quantificazione del contributo unificato per le controversie in materia di cittadinanza italiana, il governo prevede il pagamento di 600 euro a carico di ciascun discendente di cittadini italiani emigrati all'estero. La normativa vigente, invece, dispone il pagamento di un unico contributo pari ad € 518 + € 27 di marca da bollo indipendentemente dal numero di ricorrenti. È facilmente comprensibile – commenta Odoguardi – la preoccupazione di tanti discendenti. È evidente, infatti, la differenza in termini di spesa per i ricorrenti. Tante famiglie numerose si troverebbero a dover pagare una fortuna”.
“Come MAIE, attraverso i nostri Parlamentari a Roma, - conclude – stiamo già lavorando per presentare emendamenti tesi ad eliminare questa norma iniqua e punitiva nei confronti dei nostri connazionali”. (focus\ aise)