La voce degli eletti all’estero (2)

ROMA – focus/ aise – Il Senato ha approvato nelle scorse ore il decreto cittadinanza. Un decreto, secondo Francesco Giacobbe, senatore del Pd eletto in Australia, che “rappresenta uno dei più gravi atti di rottura tra lo Stato italiano e le sue comunità nel mondo. Un provvedimento miope, sbagliato e – soprattutto – incostituzionale, che sarà inevitabilmente oggetto di una valanga di ricorsi e impugnazioni”.
Il senatore, intervenendo dopo il voto finale in Senato, ha spiegato: “la maggioranza e il governo hanno scelto di criminalizzare chi ha una doppia cittadinanza, e con loro tutti gli italiani all’estero, discendenti di quegli italiani che hanno sacrificato tutto, incluso l’amore per la propria terra, per emigrare e costruire un futuro migliore per i loro figli. Persone che hanno contribuito allo sviluppo economico, sociale e culturale di altri Paesi senza mai rinnegare la propria identità italiana. Adesso lo Stato italiano risponde negando diritti, umiliando la loro storia e tradendo la loro fiducia”.
Per il senatore dem “questa legge spezza la catena di discendenza, limita il diritto di cittadinanza a una sola generazione e condanna le nostre comunità nel mondo all’estinzione. Tutto ciò che in passato hanno rappresentato in termini culturali, finanziari e di promozione del sistema Italia non esisterà più”.
Tra l’altro, per Giacobbe il provvedimento “è stato imposto con un atto di forza antidemocratico, calato dall’alto tramite decreto-legge in violazione dell’articolo 70 e 77 della Costituzione, senza alcun reale stato di urgenza, e con motivazioni pretestuose e infondate, come quella secondo cui gli italiani all’estero rappresenterebbero una minaccia per la sicurezza nazionale”.
Una delle rare note positive, ha evidenzia ancora il senatore Pd, “è stata l’apertura al riacquisto della cittadinanza per chi l’aveva perduta, in considerazione del disegno di legge che avevo presentato al Senato, così come altri colleghi di minoranza. Ma anche qui la maggioranza ha usato la tagliola: il diritto è stato ristretto solo ai nati in Italia e subordinato al pagamento di 250 euro, trasformando un diritto in una tassa”.
Giacobbe ha poi denunciato l’assenza di apertura su iniziative del Pd che proponevano misure concrete contro gli abusi di acquisto della cittadinanza, come l’emendamento da lui proposto che prevedeva l’obbligo di iscrizione all’AIRE per genitori o nonni come criterio di legame effettivo con l’Italia. “Anche queste iniziative di buon senso sono state bocciate. L’obiettivo non era limitare gli abusi, ma impedire l’accesso alla cittadinanza. Perché la verità è che questo governo ha paura degli italiani all’estero e aveva come obiettivo quello di condurli all’estinzione”.
Infine, il senatore eletto all’estero ha anche ricordato come questo decreto introduca “discriminazioni arbitrarie tra cittadini italiani, limitando il diritto alla difesa e negando il riconoscimento di uno status civitatis preesistente, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e dalla Corte di Giustizia Europea”.
Ma “la battaglia non finisce qui”, ha assicurato Giacobbe in conclusione. “Continueremo a lottare per modificare questa legge, che nasce dalla paura della cittadinanza, della società dei diritti e dell’inclusione. Ma la cittadinanza non è un privilegio, né un favore: è un diritto, e come tale deve essere tutelato. Questa legge sarà ricordata non solo per la sua ingiustizia, ma per il caos legale e amministrativo che provocherà”.
“L'italianità non è soltanto sangue”, “non è un concetto così materiale, così biologico, ma è un'altra cosa. È un concetto spirituale, è una concessione spirituale, quella dell'italianità, che si riversa anche sulla cittadinanza. Sono i valori che afferma e il contenuto quasi metafisico, l'identità, la condivisione della storia, della cultura, dei valori. La cittadinanza è soprattutto ed anche non solo diritti reclamati, ma doveri”. Parole del senatore Roberto Menia (FdI) che oggi nell’Aula del Senato ha confermato il voto convinto del suo gruppo al decreto-cittadinanza approvato in prima lettura. Ricordate le sue tante missioni all’estero – “conosco questo mondo, ne conosco le luci e le ombre” – e citato Mirko Tremaglia - “patrimonio della destra italiana” - , Menia ha parlato della sua “concezione quasi sacrale della cittadinanza” che “non può essere solo sangue né può essere solo suolo”. La cittadinanza “è spirito prima di tutto, è cultura, appartenenza e identità; non è né sangue né suolo; è parte di questo e di quello per quanto è possibile”.
La cittadinanza “non è un fatto solo burocratico: l'italianità non è un passaporto. Il passaporto italiano è molto ambito in questo mondo. Con il passaporto italiano entri negli Stati Uniti, dove molti non possono accedere. Con il passaporto italiano sei cittadino europeo e puoi girare tutta l'Europa. Entri con quel passaporto e poi in Italia non ci vieni magari, perché si scelgono di solito altre mete, però si usa quel passaporto”.
Queste sono le “ombre” per Menia: “ci sono molti italiani, gente con cittadinanza italiana, che non illustrano l'Italia. C'è la corsa al passaporto: pensate che solo negli ultimi tre anni abbiamo riconosciuto più di 2 milioni di cittadinanze e che attualmente abbiamo 7,2 milioni di italiani iscritti all'AIRE. Ci sono agenzie che si gonfiano di milioni in un traffico milionario disgustoso sulle cittadinanze italiane vendute a 5.000-10.000 euro. Addirittura c'è la vendita all'asta degli antenati; andata a fare le ricerche e ve le trovano. Ci sono cittadinanze reclamate per via di sangue portando un avo, vero, presunto o falso, andato nel 1870 in Brasile o in altre aree, di sei generazioni addietro. Poi ci sono le false residenze in Italia, i funzionari collusi, i vigili urbani comprati, i tribunali intasati di ricorsi per la cittadinanza, il contenzioso continuo, i Comuni intasati. Tutto questo succede”.
In base alla legge 91/92, ha aggiunto Menia, “con l'interpretazione che fino ad oggi abbiamo dato della ininterrotta trasmissione iure sanguinis della cittadinanza, oggi abbiamo 54 milioni di italiani in Italia e potenzialmente 80 milioni di italiani fuori dall'Italia”. Per questo “bisognava intervenire” anche perché “esistono decine di migliaia di bengalesi registrati a Londra, tutti con cittadinanza italiana” e “pachistane che stanno figliando attualmente in Pakistan creando cittadini italiani”. C’è poi il problema “di quelli che avranno tre, quattro, cinque, sei cittadinanze”. A quale di esse “faranno fede? Cosa farai, in un mondo in guerra, quando domani, per esempio, ti troverai con la tua coscienza a decidere da che parte stare?”.
“A chi dice che bisogna tutelare l'italianità nel mondo, rispondiamo che la tutela dell'italianità non è un passaporto regalato e lo dico anche a chi oggi ci fa votare su un referendum con il quale vorrebbe dimezzare il tempo richiesto per poter diventare cittadino italiano. Per non parlare dello ius soli”, ha aggiunto.
Menia ha quindi ricordato di aver presentato un emendamento, votato dalla 1ª Commissione, che “legava il riconoscimento della cittadinanza anche alla conoscenza della lingua. Rivolgo un invito al Governo. Visto che dopo questo decreto discuteremo e voteremo il disegno di legge ampio sulla cittadinanza, chiedo di immaginare di rendere costitutivo l'elemento della conoscenza della lingua come connessione all'identità e alla cittadinanza italiana. Come ci insegnava Gioberti, “si ricordino tutti, cui cale della Patria comune, che, secondo l'esperienza, la morte delle lingue è quella delle nazioni”. Tu sei cittadino se sei figlio di una Nazione, se non parli quella lingua – ha concluso – è difficile che tu possa essere cittadino”.
Un provvedimento giuridicamente inaccettabile, pieno di “discriminazioni” e che crea “una cittadinanza di serie a e una di serie b” anche all’interno della stessa famiglia. Per questo motivo Mario Borghese, senatore del Maie eletto in Sud America, in dissenso dal suo gruppo ha votato contro il decreto sulla cittadinanza approvato oggi dal Senato.
“La materia della cittadinanza è, per sua natura, molto complessa: prevede una casistica molto ampia di situazioni specifiche e diverse tra loro, trattandosi di una tematica che impatta direttamente sulla vita delle persone, a maggior ragione sugli italiani che vivono all'estero, su quegli italiani che non hanno mai dimenticato le loro origini e che anzi hanno operato e operano lontano dalla Patria per continuare a tenerle vive, su quei cittadini che sono legati alle tradizioni italiane e che hanno vincoli affettivi nella loro terra di origine”, ha detto Borghese, contestando l’uso del decreto legge per normare la materia. “Bisognava procedere con una legge ordinaria o con una legge delega, che consentono approfondimenti e tempi di esame più ampi e adeguati, per elaborare modifiche condivise e accettabili per tutti”.
“Per giustificare l'urgenza, - ha proseguito il senatore del Maie – gli uffici della Farnesina hanno prodotto una relazione che non corrisponde alla realtà dei fatti, che trovo incomprensibile. Con riferimento agli italiani all'estero, è stato affermato che la possibile assenza dei vincoli affettivi con la Repubblica in capo a un crescente numero di cittadini che richiedono il rilascio della cittadinanza italiana, che potrebbe raggiungere una consistenza pari o superiore alla popolazione residente nel territorio nazionale, costituisce un fattore di rischio serio e attuale per la sicurezza nazionale. Ossia, per essere chiari, ci sarebbero circa 60 milioni di italiani all'estero che richiedono tutti insieme la cittadinanza italiana, circostanza che è destituita di fondamento e verità nelle dimensioni rappresentate”. Infatti, ha osservato Borghese, “se si va a leggere il testo del decreto approvato dal Governo, non si colgono infatti gli elementi del rischio cui si vorrebbe porre riparo, forse per la semplice ragione che i rischi medesimi non si riscontrano nella misura denunciata”.
Più realisticamente, “il Governo voleva mettere uno stop agli abusi che si registrano nella notevole richiesta di cittadinanza - e tutti siamo d'accordo - in alcuni Stati del mondo ben individuati. Anch'io e tutta la componente del Maie vogliamo combattere gli abusi senza alcun dubbio o remora, ma il punto assoluto di disaccordo sta nel fatto che il decreto, intervenendo con misure contro gli abusi, colpisce in modo pesante e discriminatorio anche i diritti di chi chiede la cittadinanza sulla base della legge del 1992 e questo è decisamente inaccettabile”.
“Nel testo approvato dal Governo, per fortuna poi parzialmente modificato in Commissione, grazie all'impegno di altri colleghi di maggioranza, anche di colleghi di opposizione che ringrazio molto”, ha detto ancora Borghese, “si sarebbe impedito ai cittadini italiani non nati in Italia di trasmettere la cittadinanza ai figli e ai nipoti. Insomma, si creava una discriminazione tra i cittadini nati in Patria e quelli nati all'estero che pur sempre cittadini sono. Si determinava così una violazione dello ius sanguinis su cui in Italia si fonda l'acquisto automatico della cittadinanza a favore di una sorta di ius soli riveduta e corretta che non esiste nella nostra legislazione. Per fortuna, come dicevo, dopo un lungo confronto in Commissione, di cui ringrazio in primo luogo il presidente Alberto Balboni e anche tutti i colleghi della maggioranza, molto sensibili alla materia, si sono fatti passi in avanti importanti ma che sono, a mio parere, necessari ma non sufficienti. Permangono ancora discriminazioni che andranno eliminate prestissimo, mi auguro, con una legge organica sulla cittadinanza che il Governo si è impegnato presentare a breve”.
Alla luce della riforma, ha spiegato Borghese, “un cittadino italiano, per trasmettere la cittadinanza al figlio non potrà intanto avere un'altra cittadinanza, ad esempio quella italiana e quella svizzera. Tale divieto è già di per sé incomprensibile, visto che l'Italia ha sempre consentito il possesso della doppia cittadinanza. D'ora in poi potrà avere solo quella italiana e, in questo caso, potrà trasmettere la cittadinanza solo al figlio o ai figli nati entro la mezzanotte del 27 marzo 2025; gli altri eventuali figli nati dopo questa data avranno anch'essi la cittadinanza italiana, ma non potranno più trasmetterla a loro volta. Si blocca inspiegabilmente la catena di trasmissione”.
“Si è creata così una cittadinanza di serie a e una di serie b, ciò all'interno della stessa famiglia, - ha stigmatizzato il senatore – in palese contrasto con i basilari principi sanciti dalla Costituzione italiana e in violazione dello ius sanguinis vigente. Per farvi capire, due fratelli, figli degli stessi genitori, non avranno gli stessi diritti”.
Inoltre, ha aggiunto, “sorprende che con questo decreto venga di fatto misconosciuta da un Governo di centrodestra la battaglia per gli italiani all'estero combattuta con forza e successo nei primi anni Duemila dall'onorevole ed ex ministro Tremaglia, padre della legge che ha consentito agli italiani che vivono nel mondo di eleggere i propri parlamentari. Qua mi voglio fermare e desidero approfittare di questa occasione per confermare gratitudine a Tremaglia e alla sua famiglia politica per la loro storica battaglia. Anche io sono in quest'Aula grazie a voi e alla visione di Tremaglia”.
“Nel votare contro questo decreto sulla cittadinanza – ha concluso Borghese – auspico, quindi, che nell'immediato futuro si possa rivedere il provvedimento che giudico negativamente. Continuerò a battermi nel Senato in questa direzione e lo farà anche il MAIE, il movimento politico che qui rappresento, il quale ha nel suo dna la tutela degli italiani all'estero”.
Gli altri senatori del Gruppo - Civici d'Italia-UDC-Noi Moderati-Coraggio Italia-Centro Popolare – hanno votato a favore. (focus\aise)