L’ambiente al primo posto

ROMA – focus/aise - L’attività vulcanica della Rift Valley negli ultimi quattro milioni di anni non è stata costante e continua nel tempo ma è avvenuta ‘a scatti’, ossia con brevi periodi di intensa attività esplosiva intervallati da periodi di quiete o ridotta attività. È quanto emerge da un lavoro dell’Università di Firenze e dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Igg), in collaborazione con università di Etiopia, Francia e Regno Unito. La ricerca, pubblicata sulla rivista Communications Earth & Environment del gruppo Nature, offre per la prima volta un'analisi dettagliata dell'evoluzione vulcanica della Rift Valley in Etiopia.
“Grazie ai dati raccolti durante diverse campagne sul campo e alla datazione in laboratorio dei numerosi campioni di rocce vulcaniche, abbiamo identificato un periodo principale di intensa attività vulcanica tra 3,4 e 3,8 milioni di anni fa, seguito da altre quattro fasi di forte vulcanismo, spiega Giacomo Corti del Cnr-Igg. “In ciascuna di queste fasi sono stati riconosciuti eventi esplosivi di grande entità, alcuni dei quali hanno prodotto depositi vulcanici spessi decine di metri”. Questi eventi hanno avuto un impatto significativo sul paesaggio, trasformando vaste aree e rendendole inospitali per lunghi periodi, con possibili conseguenze sul clima globale.
“Tali eventi si sono verificati in un periodo cruciale per l’evoluzione degli ominidi, un’epoca in cui gli Australopitechi, come la famosa ‘Lucy’, lasciavano il posto alle prime specie del genere Homo, i nostri antenati più prossimi”, aggiunge Raffaello Cioni dell'Università di Firenze. “È quindi molto probabile che questi eventi, in una regione e in un intervallo di tempo cruciali per l’evoluzione umana, abbiano avuto un impatto enorme nel modificare l'ambiente e le condizioni di vita in questa area cruciale per l'evoluzione umana”.
La Rift Valley africana è nota per la sua straordinaria biodiversità ed è considerata uno dei luoghi più importanti per le scoperte paleoantropologiche. Caratterizzata da un sistema di valli lineari che si estende per migliaia di chilometri, la Rift Valley è il risultato della continua separazione del continente africano nella sua parte orientale. È una regione di grande interesse geologico, dove vulcanismo, terremoti e fratturazione della crosta terrestre rivelano le potenti forze tettoniche che modellano il pianeta e che potrebbero aver influenzato l'evoluzione dei nostri antenati.
“I risultati di questo studio rappresentano un importante passo avanti nella comprensione dei processi geodinamici alla base della formazione delle Rift Valley continentali” conclude Zara Franceschini dell'Università di Firenze. “Il nostro lavoro mostra come questi processi possano avere un’evoluzione temporale molto irregolare, con conseguenze rilevanti per la morfologia, il clima e le condizioni ambientali di vaste regioni del pianeta”.
Una stazione sismo-acustica ad alta sensibilità realizzata da un gruppo multidisciplinare di ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è stata appena deposta a 3.500 metri di profondità nella piana abissale del Mar Ionio, 80 chilometri a sud-est di Portopalo di Capo Passero (Siracusa).
La stazione, realizzata nell’ambito del PON Marine Hazard - “Fondo per lo Sviluppo e la Coesione” relativo alla programmazione 2014-2020, che prevedeva la realizzazione di un prototipo funzionante, grazie al lavoro del gruppo di ricerca coinvolto ha superato gli obiettivi iniziali ed è stata già collegata con successo alla grande infrastruttura sottomarina KM3NeT/ARCA, il più grande telescopio abissale per neutrini nel Mar Mediterraneo.
La stazione sta già acquisendo i suoni e i rumori che si propagano nelle profondità del mare, fornendo preziose informazioni sull’impatto ambientale che tali onde acustiche producono. I dati acquisiti sono inviati in tempo reale ai server di elaborazione dell’INGV ospitati presso il Centro di elaborazione dati della sede operativa dell’INFN a Portopalo di Capo Passero, attraverso un cavo elettro-ottico sottomarino lungo circa 100 chilometri.
“La deposizione di un’infrastruttura di tale portata rappresenta un grande successo, ponendo le basi per l’esplorazione in continuo di ambienti considerati inaccessibili fino a pochi anni fa, con caratteristiche uniche nel loro genere”, spiega Sergio Scirè Scappuzzo, responsabile scientifico del progetto “Marine Hazard” per l’INGV.
Gianluca Lazzaro, tecnologo dell’INGV impegnato nelle attività di sviluppo e integrazione della strumentazione scientifica, aggiunge: “questa impresa è frutto di una sinergia multidisciplinare e il suo successo dà ulteriore valore alla collaborazione scientifica e tecnologica tra INGV e INFN ed enfatizza l'importanza della cooperazione tra infrastrutture di ricerca europee, considerato anche il supporto che abbiamo ricevuto dalla ERIC EMSO”.
Le Sedi coinvolte nel progetto sono, per l’INFN, i Laboratori Nazionali del Sud (INFN-LNS), la Sezione di Bari (INFN-BA) e la Sezione di Roma (INFN-RM1), mentre, per l’INGV, la Sezione di Palermo.
Per realizzare questo sofisticato osservatorio scientifico, i ricercatori dell’INGV di Palermo hanno installato sulla stazione un sensore in grado di rilevare sia la conducibilità e la temperatura delle masse d’acqua, sia la pressione della colonna d’acqua sovrastante, nonché un idrofono orientato allo studio delle basse frequenze delle onde acustiche e un sismometro marino ad alta sensibilità.
I ricercatori dell’INFN-LNS, invece, hanno progettato e realizzato la struttura della stazione, insieme all'elettronica di controllo e trasmissione dati, nonché i contenitori a tenuta stagna per ospitare l’elettronica, resistenti alle alte pressioni.
“L’installazione di questa stazione rafforza i già solidi legami tra l’INFN e l’INGV e sottolinea il rapporto di piena interazione tra i due Istituti di ricerca, oltre a fornire ulteriore valore multidisciplinare all’eccellenza scientifica rappresentata dall’infrastruttura KM3NeT/IDMAR”, dichiarano Simone Biagi, Site Manager di KM3NeT/ARCA, e Angelo Orlando, coordinatore tecnico del progetto della stazione.
Grazie all’impiego di tecnologie e competenze avanzate, questa strumentazione proietta la ricerca verso lo studio a lungo termine delle aree più profonde di mari e oceani, altrimenti scarsamente osservati. Ciò a favore della coesione di una comunità scientifica europea, che metta a fattor comune le proprie risorse e competenze, fungendo anche da volano per il trasferimento di conoscenze e tecnologie alle imprese italiane. (focus\aise)