L’ambiente al primo posto

ROMA – focus\aise - L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato la nuova Carta della Sismicità che racconta i terremoti avvenuti nell’ultimo quarto di secolo in Italia e nelle aree limitrofe.
Questa edizione speciale della Carta, realizzata in occasione delle celebrazioni per i 25 anni dalla nascita dell’Ente, mostra gli oltre 72.000 eventi sismici con magnitudo pari o superiore a 2.0 localizzati dalla Rete Sismica Nazionale Integrata dell’INGV tra il 1° gennaio 1999 e il 31 agosto 2024.
La maggior parte dei terremoti riportati sulla Carta, colorati in giallo, è stata localizzata nello strato più superficiale della crosta terrestre, soprattutto nei primi 15 chilometri di profondità. L’area del Tirreno centro-meridionale è invece caratterizzata da eventi sismici identificati con il colore blu, a indicare ipocentri profondi anche centinaia di chilometri sotto la superficie del mare in una zona caratterizzata dal fenomeno della subduzione dell’Arco calabro, con una delle due placche che scorre sotto l’altra, sprofondando nel mantello sottostante.
Interessante anche l’elevata sismicità evidenziata nelle aree vulcaniche siciliane, in particolare l’area dell’Etna, e campane, con i Campi Flegrei che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto registrare terremoti di magnitudo superiore a 4.0.
Con la nuova Carta della Sismicità è stato pubblicato anche il grafico dell’andamento del numero annuale di terremoti di magnitudo pari o superiore a 2.0 dal 1999 al 2024.
L’istogramma evidenzia come gli anni in cui è stato registrato un numero maggiore di terremoti coincidono con quelli delle sequenze sismiche più rilevanti degli ultimi 25 anni: 2009 (L’Aquila), 2012 (Emilia) e 2016-2017 (Centro Italia).
In particolare, l’anno con il maggior numero in assoluto di eventi sismici è stato il 2016, con quasi 12.000 terremoti di magnitudo maggiore o uguale a 2.0. In totale, gli eventi localizzati quell’anno furono oltre 70.000.
Il 2016 è inoltre ricordato come l’anno con l’evento sismico più forte mai registrato dalla Rete Sismica Integrata Nazionale dell’INGV dalla sua nascita, negli anni ‘80: il terremoto di magnitudo 6.5 registrato a Norcia il 30 ottobre.
La nuova Carta presenta anche un QR code da cui è possibile accedere al sito web dedicato “Carta della Sismicità in Italia”, sviluppato per visualizzare la mappa interattiva dei terremoti con contenuti e funzionalità aggiuntive e scaricare la versione digitale della Carta direttamente sui propri smartphone.
Le nanoplastiche di polistirene (polistirolo) sono in grado di provocare la morte delle cellule degli animali marini. È quanto ha dimostrato lo studio ENEA su modelli in vitro di orata e trota iridea, condotto in collaborazione con Cnr e Università della Tuscia (Viterbo) e pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment.
Dallo studio emerge che nanoparticelle di polistirene da 20 nanometri - cento volte più piccole di un granello di polvere - hanno causato un danno alle cellule maggiore rispetto a quelle da 80 nanometri. Inoltre, le cellule di orata sono risultate circa quattro volte più sensibili alle nanoplastiche rispetto a quelle di trota.
“Le particelle di plastica si sono attaccate alle membrane delle cellule, causando cambiamenti visibili nella loro forma e struttura, con tracce già evidenti dopo 30 minuti di esposizione. Solo le nanoplastiche da 20 nanometri hanno danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole a una morte cellulare programmata (per apoptosi). E i primi segni evidenti di questo processo includevano il restringimento della cellula, la formazione di protuberanze sulla membrana, l'esposizione della fosfatidilserina (una molecola essenziale per il funzionamento della cellula) sulla superficie esterna della membrana, chiaro segnale di ‘agonia’ della cellula, fino alla frammentazione del DNA”, spiega Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio.
“I risultati ottenuti - sottolinea Saraceni - evidenziano che la salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”. Grazie a questo studio i ricercatori hanno identificato i possibili meccanismi alla base del danno ai tessuti biologici causato dalle nanoplastiche, attraverso l’applicazione di sistemi biotecnologici innovativi e lo sviluppo di modelli sperimentali animal free avanzati. Tali modelli si sono rivelati cruciali per ampliare la comprensione dell’impatto dei rifiuti plastici sulla salute degli ecosistemi, permettendo di ottenere dati riproducibili e di condurre studi su larga scala.
Le nanoparticelle di plastica (visibili solo al microscopio e con dimensioni inferiori a 1000 nanometri, ossia circa 50-100 volte più piccole del diametro di un capello) hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica per la capacità di attraversare membrane biologiche come quella intestinale e la barriera emato-encefalica, aumentando la loro tossicità potenziale verso gli organismi marini. “Le nanoparticelle possono causare effetti come tossicità cellulare, neurotossicità, genotossicità, stress ossidativo, alterazioni metaboliche, infiammazioni e malformazioni nello sviluppo delle specie marine, ma i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi impatti non sono ancora completamente compresi”, sottolinea Saraceni.
La contaminazione degli ambienti marini e di acqua dolce da parte delle nanoplastiche è considerata una minaccia globale per gli organismi viventi che li popolano. La produzione di plastica nel mondo è stata di oltre 400 milioni di tonnellate nel 2022 e le stime più recenti prevedono che raddoppierà nei prossimi 20 anni fino a triplicare entro il 2060[6]. La maggior parte dei rifiuti plastici non viene gestita correttamente: solo il 9% è riciclato, il 19% incenerito e il resto finisce in discariche o siti di smaltimento non controllati. Questo contribuisce all’accumulo di plastica nell’ambiente e sono soprattutto gli ecosistemi marini a subire l’impatto maggiore: si stima che più di 171 trilioni di particelle di plastica si accumulino nell’ambiente marino, degradandosi in frammenti più piccoli: il polistirene è una delle materie plastiche non biodegradabili più comuni e contribuisce significativamente all’inquinamento plastico ambientale. Tra le più frequentemente trovate negli organismi marini, presenta una tossicità significativamente maggiore rispetto ad altri polimeri testati. La sua potenziale tossicità per gli organismi acquatici e gli ecosistemi rimane una preoccupazione e, per questo, servono ulteriori ricerche per indagare su scala più ampia gli effetti a lungo termine”, conclude Saraceni. (focus/aise)