L’ambiente al primo posto

ROMA – focus/ aise - Individuate tracce di farmaci e prodotti per la cura della persona nelle acque marine superficiali e reflue nel Kongsfjorden, fiordo situato nell’arcipelago artico delle isole Svalbard. È quanto emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista Science of The Total Environment, coordinata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Isp) e realizzata in collaborazione con l’Università di Roma Sapienza e l’istituto di ricerca norvegese Sintef Ocean.
Lo studio, che implementa una ricerca sui sedimenti marini artici svolta nel 2024 dallo stesso gruppo di ricercatrici, ha rilevato la presenza di antibiotici, antipiretici, ormoni, antinfiammatori, antiepilettici, stimolanti, disinfettanti, caffeina e repellenti per insetti, sia in mare che nelle acque reflue provenienti dalle basi di ricerca internazionali a Ny-Ålesund, valutandone fonti e distribuzione nell’ecosistema marino. “Questi composti hanno mostrato un’elevata persistenza nell’ambiente marino, acutizzata dalle condizioni artiche che rallentano i processi di degradazione naturale”, afferma Jasmin Rauseo, ricercatrice del Cnr-Isp. “Eseguendo una valutazione del rischio ecologico, abbiamo scoperto che la miscela di questi contaminanti può compromettere la salute degli organismi acquatici a diversi livelli della catena trofica, alterando le funzionalità del sistema endocrino e ormonale, con un potenziale aumento della resistenza agli antibiotici. La distribuzione spaziale e temporale dei composti ci ha fatto capire che, oltre all’afflusso proveniente dalle emissioni locali, il trasporto oceanico e atmosferico contribuisce alla confluenza di questi contaminanti nel fiordo”.
Secondo lo studio, questa presenza è anche causata dalla mancanza di adeguati sistemi di trattamento delle acque reflue, mentre la stabilità ambientale dei contaminanti è favorita dalle basse temperature e dalla scarsa luce solare. “Queste evidenze mostrano il potenziale rischio a lungo termine per gli ecosistemi artici e, conseguentemente, per le popolazioni locali. L’Artico sta attualmente affrontando sfide ambientali legate alla presenza di nuovi inquinanti, nei confronti dei quali non sono state ancora adottate misure di contenimento a livello mondiale”, conclude Luisa Patrolecco, ricercatrice del Cnr-Isp responsabile del gruppo di ricerca. “Per questo motivo, è urgente intensificare i programmi di monitoraggio, dando priorità a studi che possano contribuire a promuovere politiche globali per limitare la contaminazione dei mari artici, salvaguardandone la loro biodiversità, così unica e fragile”.
Le microplastiche disperse nell’ambiente possono trasportare e diffondere batteri resistenti agli antibiotici con gravi rischi per la salute umana e degli ecosistemi. È questo uno dei principali risultati di una ricerca pubblicata sulla rivista online Sustanaibility e condotta da ENEA con Joint Research Centre della Commissione europea, CREA e le Università degli Studi di Milano e della Tuscia nell’ambito del progetto MINOTAUR.
“Le microplastiche sono spesso presenti in ambienti contaminati da antibiotici come suoli agricoli trattati con fertilizzanti e acque reflue. Questo crea una pressione selettiva che favorisce la sopravvivenza e la proliferazione di batteri resistenti, aumentando la diffusione dei geni di resistenza agli antibiotici”, spiega Annamaria Bevivino della Divisione ENEA Sistemi agroalimentari sostenibili. “Per la loro struttura e composizione, infatti, i piccolissimi frammenti di plastica offrono ai batteri resistenti superfici ‘ideali’ per formare vere e proprie comunità microbiche che favoriscono il trasferimento tra loro dei geni di resistenza agli antibiotici”, aggiunge Bevivino.
Lo studio ha permesso di identificare in particolare quattro batteri che più colonizzano la superficie della plastica abbandonata nell’ambiente. Questi microrganismi sono spesso presenti nei suoli contaminati da microplastiche e svolgono un’importante attività di degradazione del materiale plastico e di diffusione della resistenza agli antibiotici. “Questo ci suggerisce che potrebbero essere usati come bioindicatori per monitorare la salute del suolo e l’impatto ecologico legato alla contaminazione da microplastiche”, commenta Andrea Visca, ricercatore del Laboratorio Innovazione delle filiere agroalimentari.
Per ottenere questo risultato i ricercatori hanno analizzato le sequenze di DNA batterico proveniente da 885 campioni di suolo raccolti nei paesi dell’Unione europea, identificando 47 geni codificanti per proteine coinvolte nella degradazione di materiali plastici. “I quattro geni più abbondanti sono risultati essere quelli legati alla degradazione di alcuni composti chimici organici utilizzati nella produzione di plastiche come stirene (materiale base per produrre il polistirolo), benzoato (utilizzato come ‘ingrediente’ per migliorare le caratteristiche della plastica), benzene e xilene (utilizzati per produrre il PET delle bottiglie d’acqua) e, tra tutti il gene ‘catE’ risulta il più centrale nel processo di degradazione”, prosegue Visca.
Le microplastiche che si accumulano nei sistemi agricoli comportano rischi sostanziali in termini di produttività e sicurezza alimentare, in quanto modificano le caratteristiche fisiche e chimiche del suolo. “Al momento alcuni studi hanno riscontrato una riduzione della resa delle colture tra l’11% e il 24% nei suoli agricoli dove è stata misurata un’alta concentrazione di residui di microplastiche”, commenta Annamaria Bevivino.
Secondo la FAO il fenomeno del degrado interessa oltre il 30% del suolo mondiale, con perdite di produttività agricola a livello globale per un valore di circa 40 miliardi di dollari l’anno. Mentre in Europa la percentuale oltrepassa il 60% a causa di diversi fattori come l’inquinamento, l’urbanizzazione e gli effetti dei cambiamenti climatici e le attuali pratiche di gestione del suolo. Infatti, l’intensificazione dell’uso del suolo e il massiccio impiego di fertilizzanti chimici e organici (come compost e fanghi di depurazione) impattano in modo significativo sulle concentrazioni di microplastiche e sulle caratteristiche delle comunità microbiche presenti, mettendo a rischio la qualità del terreno, ostacolando lo sviluppo delle piante e compromettendo la fornitura di funzioni ecosistemiche essenziali. (focus\aise)