L’ambiente al primo posto

ROMA – focus/ aise – Ondate di calore, acidificazione delle acque, alterazione del sistema di circolazione delle correnti sono solo alcuni dei fattori di stress che possono destabilizzare gli ecosistemi marini. Conoscere in che misura questo “stress climatico” influenzi in particolare la salute del Mediterraneo è l’obiettivo della campagna oceanografica “ITINERIS’ EYES” (InTegrating, INnovating, Evolving Research InfraStructures for hEalthY and prEdicted marine ecosystemS) condotta a bordo della nave da ricerca “Gaia Blu” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che andrà avanti fino al 30 luglio prossimo. Il Mediterraneo è, infatti, uno degli hotspot climatici più interessanti del pianeta: le sue acque si riscaldano più velocemente della media globale dell’oceano e mostrano gli effetti del cambiamento climatico in anticipo e in maniera amplificata.
La campagna ha preso il via dal porto di Civitavecchia. A bordo si alterneranno team di ricercatori e ricercatrici italiani e stranieri con competenze interdisciplinari: un ampio sforzo di collaborazione internazionale che ha lo scopo di indagare attraverso esperimenti multipiattaforma – basati su diversi strumenti e tecnologie –- come i fattori di stress climatico influenzino la presenza e la biodiversità del plancton e i relativi impatti sulla catena alimentare e il ciclo del carbonio.
A coordinare i lavori è l’Istituto di scienze marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ismar), ma la spedizione vede coinvolti anche colleghi e colleghe dell’Istituto di scienze polari (Cnr-Isp), dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), dei Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN (LNS-INFN), del Joint Research Centre della Commissione Europea (JRC), dell’Institut de la Mer de Villefranche (IMEV, Sorbonne Université - CNRS), del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC, Spagna) e della società Space 42, istituzioni che collaborano con il Dominio Marino di ITINERIS, il Sistema Integrato Italiano delle Infrastrutture di Ricerca Ambientale (https://itineris.cnr.it/).
“Ad oggi sappiamo che il riscaldamento globale e le pressioni causate dalle attività umane alterano la dinamica della circolazione marina: questo aumenta la vulnerabilità degli ecosistemi e della loro biodiversità. Non sappiamo però cosa stia succedendo al plancton sia vegetale che animale in mare aperto”, afferma Emanuele Organelli (Cnr-Ismar), coordinatore della campagna “ITINERIS’ EYES”. Il plancton è formato da minuscoli organismi che vivono sospesi nell’acqua, trasportati dalle correnti. Invisibili a occhio nudo, sono in realtà fondamentali per la vita sulla Terra: producono più della metà dell'ossigeno che respiriamo, nutrono gli animali marini e regolano il clima. “Se cambia il plancton, cambia tutto: la catena alimentare marina, il ciclo del carbonio e quindi l’equilibrio climatico del nostro pianeta” continua Organelli. “Questi effetti a cascata possono interessare la superficie e penetrare le profondità abissali, raggiungendo il fondo dell’oceano. Infatti, vogliamo scoprire la relazione tra la circolazione delle acque superficiali e profonde, la distribuzione del plancton e la produzione di carbonio organico. Lo faremo con un approccio innovativo, che integra più strumenti, tecnologie e metodi di raccolta dati con l’obiettivo di migliorare la nostra capacità di osservazione, comprensione e previsione dell’oceano”.
L’approccio di ITINERIS’ EYES si basa sul contributo tecnologico e sull’interoperabilità delle Infrastrutture di Ricerca ambientali europee e nazionali coinvolte in ITINERIS, l’hub finanziato con fondi EU - Next Generation EU (Missione 4 “Istruzione e Ricerca” - Componente 2: “Dalla ricerca all’impresa” - Investimento 3.1: “Fondo per la realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione” - Progetto IR0000032 – ITINERIS - Sistema Integrato Italiano delle Infrastrutture di Ricerca Ambientale - CUP B53C22002150006). Grazie a ITINERIS, l’Italia, paese pioniere in Europa, si sta dotando di un sistema nazionale che mira a integrare le osservazioni marine armonizzando e fornendo i dati raccolti da una vasta rete di infrastrutture. Il sistema si chiama IT-IOOS (Italian Integrated Ocean Observing System.) e i dati saranno resi disponibili a tutta la comunità attraverso un unico portale. La campagna ITINERIS’ EYES sarà proprio un dimostratore di IT-IOOS.
Durante ITINERIS’ EYES le attività sperimentali spazieranno dalla raccolta di dati da stazioni “fisse” - con misure di parametri fisici, chimici, biologici e ottici delle acque- a rilievi lungo la colonna d'acqua mediante sonde, al dispiegamento di profilatori BioGeoChemical-Argo e drifter lagrangiani per il monitoraggio della temperatura del mare e delle caratteristiche bio-geo-chimiche, ottiche e di biodiversità del plancton. Ampio risalto sarà dato anche alle attività di divulgazione e formazione del personale di bordo: sarà possibile seguire giorno per giorno la campagna “ITINERIS’ EYES” anche grazie allo Speciale pubblicato sul portale www.cnr.it al link https://www.cnr.it/it/gaia-blu-speciale-campagna-itineris-eyes-2025.
Durante la navigazione – che si svolgerà ad ampio raggio lungo tutto il bacino del Mediterraneo occidentale, comprendendo acque italiane, francesi e spagnole – gli strumenti e le piattaforme autonome osserveranno aree poco monitorate, garantendo l’integrazione e l’interoperabilità dei dati raccolti dalle varie Infrastrutture. La campagna sarà suddivisa in due “leg”: dall’8 al 24 luglio sarà focalizzata su Mar Tirreno, Canale di Sardegna, Bacino Algerino-Provenzale e Mar Ligure; mentre dal 24 al 30 luglio la nave farà ritorno su Mar Ligure e Mar Tirreno per poi rientrare il 30 luglio a Civitavecchia.
Mari e oceani si sono ammalati: si stanno acidificando e scaldando troppo velocemente, soprattutto il Mediterraneo, con effetti negativi sugli organismi marini e sugli ecosistemi.
Questo è quanto spiegato, nella Giornata internazionale del Mediterraneo, dal WWF Italia che ha rilanciato un articolo a firma di Roberto Danovaro, professore di biologia marina all’Università Politecnica delle Marche e Presidente della Comunità scientifica del WWF Italia, pubblicata sull’ultimo numero di Panda, magazine dell’associazione.
Gli oceani sequestrano oltre il 40% dell’anidride carbonica (mitigando così i cambiamenti climatici) e assorbono circa il 90% del calore dell’atmosfera (rinfrescando il pianeta). Queste funzioni si sommano ad altre fondamentali, come la produzione di cibo (quasi il 30% delle proteine totali), e ossigeno (circa il 50% di tutto quello disponibile). Ma tutti questi servizi dipendono dalla loro salute. Ma sorge quindi il problema della malattia dei mari e degli oceani acidificati e che si scaldando troppo velocemente, soprattutto il Mediterraneo, con effetti negativi sugli organismi marini e sugli ecosistemi.
UN MARE SEMPRE PIÙ ACIDO
L’assorbimento dell’anidride carbonica determina una diminuzione del pH delle acque marine poiché sciogliendosi in acqua forma acido carbonico: il problema, come scrive Danovaro, è che il Mediterraneo è una delle regioni più sensibili con un pH diminuito in media fino a quasi 0,2 unità rispetto al secolo scorso e continua a diminuire a una velocità 3 volte più elevata rispetto alle aree oceaniche. Bassi valori del pH hanno effetti negativi sulla crescita, riproduzione e resistenza ai cambiamenti ambientali di molte specie marine. In particolare, ne soffrono gli organismi che producono scheletri calcarei, come cozze, gorgonie, coralli, spugne e ricci di mare.
Il Mediterraneo copre meno dell’1% della superficie degli oceani globali e contiene lo 0,3% delle acque. È, quindi, una sorta di enorme “pozza”, con una profondità media di circa 1,5 chilometri (contro i quasi 4 km dei grandi oceani). Dato che è poco profondo, le sue acque si riscaldano a tassi superiori rispetto a quelli di ogni altro mare.
“In questo "oceano in miniatura" - sottolinea Danovaro – possiamo osservare i cambiamenti come fossimo in un gigantesco laboratorio naturale. In questo modo possiamo capire e prevedere anche la risposta dei grandi oceani ai cambiamenti globali”.
GLI EFFETTI DELLE ONDATE DI CALORE
Le ondate di calore stanno cambiando i paesaggi sottomarini, spiega ancora Danovaro, stanno sconvolgendo gli equilibri naturali causando mortalità massive e favorendo l’invasione di specie aliene.
Temperature troppo alte favoriscono la penetrazione di molte specie tropicali come microalghe, piante marine e pesci esotici che stanno entrando sempre più numerosi attraverso il Canale di Suez che dal Mar Rosso o dall’Atlantico. Essendo più a loro agio in acque più calde, si stanno diffondendo sempre più anche nel nord Mediterraneo. Molte specie del Nord-Mediterraneo, quelle del Golfo di Trieste o del Mar Ligure, preferiscono acque più fredde e sono messe in forte difficoltà dalle ondate di calore estivo, quando le temperature possono raggiungere 30-30,5°C, valori non tollerati da molte specie anche costiere.
Durante le estati super calde, come quella del 2024, le temperature tra luglio e agosto, in condizioni meteorologiche particolari con stagnazione delle acque insieme salgono ben oltre i 30°C, riscaldando le acque anche oltre 30 metri di profondità. Qui vivono molti organismi sessili (ovvero attaccati alla roccia) come le gorgonie, il corallo rosso, le spugne o i bivalvi che subiscono un forte stress: se il riscaldamento è molto forte e prolungato molti di questi organismi muoiono, spesso a causa dello sviluppo di infezioni e patologie favorite dal calore e dallo stress. A partire dalla fine degli anni ‘90 in molte aree del Mediterraneo, dalla Corsica alla Liguria della Costa Azzurra alla Riviera del Conero in Adriatico, hanno visto morie massive, con la perdita in poche settimane della fauna marina. Il risultato è un panorama sottomarino desertificato, soprattutto tra la costa e i 30 metri di profondità. Queste morie hanno effetti negativi anche sulla pesca perché riducono le possibilità di crescita dei giovanili di molte forme ittiche. Purtroppo, è quello che sta avvenendo anche in questa prima parte dell’estate 2025.
IL RISCHIO CARESTIA MARINA
Secondo Danovaro, uno degli effetti collaterali dell’eccessivo riscaldamento estivo legato ai cambiamenti climatici è l’alterazione della quantità di cibo disponibile agli organismi marini. In larga parte la fonte primaria di cibo è dovuta ad alghe microscopiche, ma anche le macroalghe sono importanti e con le ondate di calore crolla la loro produzione con conseguente carestia per le specie marine che utilizzano queste risorse. L’ondata di calore del 2024 ha spazzato via molte foreste di grandi alghe brune e anche di praterie sommerse di Posidonia oceanica che arricchivano gli habitat delle coste italiane. Molte di queste non hanno ancora recuperato nel 2025.
Un metodo efficace per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici è quello di proteggere la biodiversità. Recenti studi hanno dimostrato che un sistema ricco di specie resiste molto meglio ai cambiamenti climatici di un sistema impoverito. Questa soluzione, che va attuata subito, ci darebbe più tempo per mitigare i cambiamenti climatici riducendo l’uso di combustibili fossili.
Tuttavia, conclude Danovaro, laddove non si manifestano segnali di resilienza sarà necessario intervenire con il restauro ecologico. Si tratta di una sorta di terapia intensiva per il recupero degli habitat danneggiati o distrutti dall’Uomo o dai cambiamenti climatici, una misura prevista anche dalla nuova legge sul restauro della Natura dell’Unione Europea.
Proprio per la tutela della biodiversità il WWF ha spiegato di essere diventato partner di un progetto che consentirà di trovare possibili soluzioni di adattamento per alcune specie animali che vivono nel mare e frequentano le coste mediterranee, habitat sempre più colpiti dagli effetti della crisi climatica. Il progetto LIFE ADAPTS (climate change ADAptations to Protect Turtles and monk Seals), cofinanziato dall’Unione Europea e coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, sarà condotto in tre paesi mediterranei, Italia, Grecia e Cipro, in cui sono state identificate alcune aree chiave per la vita e la riproduzione di tre specie simbolo del Mare Nostrum: tartaruga verde (Chelonia mydas), tartaruga caretta (Caretta caretta) e foca monaca (Monachus monachus). (focus\aise)