CE L’HO SULLA PUNTA DELLA LINGUA - di Raffaele De Rosa


ZURIGO\ aise\ - “Avete mai detto questa espressione almeno una volta? A me succede sempre più spesso, anche recentemente durante una lezione di italiano a livello avanzato. All’interno del piccolo gruppo di irriducibili amanti della cosiddetta “lingua di Dante” che frequentano un mio corso è appena arrivata una persona nuova che, in un ottimo italiano, si presenta alla classe. Dopo aver detto alcune cose su dove abita e gli studi che ha fatto, quando arriva a parlare del suo lavoro, questa persona si interrompe e mi guarda supplichevole. Si vede che è in difficoltà e non trova una determinata parola nella nostra lingua. “Dilla in tedesco! Qui tutti noi lo conosciamo. Per la traduzione in italiano non ti preoccupare, la troviamo insieme in pochi secondi”, lo rassicuro. “Lavoro per una Stiftung”, dice con un sorriso il nuovo arrivato”. La sovrapposizione di una lingua su un’altra: di questo scrive Raffaele De Rosa nella sua rubrica “La lingua batte dove…”, che tiene su “La Rivista”, mensile diretto a Zurigo da Giangi Cretti.
“Stiftung… questa è la parola sconosciuta in italiano dal nuovo arrivato! Ma io so che cosa è una Stiftung e anche il resto della classe, composta prevalentemente da bilingui italiano-tedesco, lo sa.
Il problema è che in quel momento a nessuno di noi viene in mente il termine corrispettivo in italiano e soprattutto, sorprendentemente, nessuno prende l’iniziativa di verificare la traduzione in qualche vocabolario elettronico del proprio telefonino. In classe accettiamo semplicemente Stiftung, anche se dico quasi giustificandomi: “Accidenti, la parola in italiano ce l’ho sulla punta della lingua! Vedrai che entro la fine della lezione te la dico”.
In questo dialogo durato pochi secondi è racchiuso, secondo me, un fenomeno molto diffuso quando ci si trova a vivere e a lavorare in condizioni di plurilinguismo quotidiano: la sovrapposizione, in questo caso lessicale, di una lingua su un’altra. Dimenticare le parole e sostituirle con quelle delle altre lingue di riferimento fa parte di un inevitabile processo di logoramento di certe forme linguistiche. In quel momento, nella nostra piccola classe, la parola Stiftung è stata accettata senza problemi e ha continuato a essere usata come un prestito dal tedesco all’interno di una comunicazione in italiano durata per un periodo piuttosto breve. Ma questo fenomeno è visibile anche in un contesto molto più ampio, quando nella lingua di una comunità più consistente di persone vengono accettate parole, più o meno adattate, provenienti da altre lingue.
Gli anglicismi, i francesismi e gli ispanismi nell’italiano così come le parole italiane presenti in altre lingue sono una testimonianza evidente di questo continuo scambio (culturale). Essere puristi in linguistica non ha dunque senso.
Tuttavia anche accettare acriticamente qualsiasi termine “estraneo”, ma di moda, senza aver fatto un minimo sforzo nel trovare soluzioni nel proprio vocabolario, che è comunque condiviso con un numero più grande di persone che parlano la stessa lingua, non mi sembra una buona soluzione comunicativa.
Noi abbiamo accolto in quel momento la parola Stiftung senza problemi. La corrispettiva parola italiana l’ho avuta a lungo sulla punta della lingua e la mia amnesia è durata per tutta la lezione. Devo ammettere che mi sono sentito anche un po’ a disagio per questa mia incapacità di tradurre automaticamente una parola tedesca in italiano. Alla fine, al momento dei saluti, è finalmente emersa dai meandri della mia memoria la parola italiana. “Fondazione! Tu lavori per una fondazione, questa è la parola italiana per Stiftung!”, dico a questa persona e poi, con un’aria sollevata, guardo tutta la classe. Mi fermo così, rinunciando a spiegare le analogie etimologiche tra Stiftung e fondazione. Forse ne parlerò un’altra volta. “Certo, anche in inglese si dice foundation!”, mi risponde questa persona. “E in francese fondation!”, dicono altre due persone della classe. “E in spagnolo fundación!”, dice una terza.
Ecco, la conoscenza di altre lingue può effettivamente aiutare a imparare nuove parole attingendo dal proprio vocabolario personale. L’importante è che questa competenza sia adeguatamente stimolata attraverso il confronto e la ricerca linguistica senza pregiudizi”. (aise)