SIAMO MENO INTELLIGENTI DI PRIMA (MA NON SEMPRE IL QI DICE TUTTO) – di Nico Tanzi


ZURIGO\ aise\ - “Prima o poi capita a tutti di provare uno di quei test studiati per misurare l’intelligenza, anzi, il “QI”, il quoziente intellettivo. È capitato anche a me un paio di volte. Ho anche ottenuto dei risultati mica male, per la verità. Ma quei test non mi hanno mai davvero convinto. Si può davvero pretendere di valutare una persona in base alla sua capacità di rispondere a qualche dozzina di domandine a scelta multipla disseminate di trappole?”. Così scrive Nico Tanzi, in un articolo pubblicato nel nuovo numero de “La rivista”, mensile diretto da Giangi Cretti a Zurigo.
“È ovvio che c’è chi sarà più portato per quel genere di giochini, come magari per la matematica o per la filosofia, e chi lo è meno. Ma è un motivo sufficiente per stabilire che gli uni sono più intelligenti degli altri? Sono passati un sacco d’anni, ma ricordo ancora molto bene una mia compagna di liceo. Non so se abbia mai provato a misurare il suo QI, ma sono sicuro che se l’ha fatto i risultati saranno stati disastrosi. Credo che in molti la considerassero un’autentica oca. Fisicamente era dotatissima: madre natura era stata più che generosa con lei. Inoltre, aveva un qualcosa di misterioso nel volto, il che ne aumentava l’appeal. Ma quanto a doti intellettuali, era davvero al di là di ogni immaginazione. Una di quelle allieve parlando delle quali i professori alzano le spalle, sospirando sconsolati.
Qualche tempo dopo, scoprii che aveva cominciato a recitare. E non in una filodrammatica di paese, ma in una compagnia di reputazione piuttosto solida. Non solo: avrebbe esordito, e come protagonista, in un testo per niente facile, un classico del teatro greco rivisitato in chiave contemporanea. Andai a vedere lo spettacolo, ovviamente. E ne uscii incredulo: la sua era stata una delle più spettacolari interpretazioni cui avessi assistito. Il modo in cui riusciva a suscitare emozioni profonde e inattese, in me come nell’intero pubblico, aveva qualcosa di sovrannaturale. Davanti a un miracolo simile, chi avrebbe dato più la minima importanza al suo QI? Anche se in molti anche fra gli scienziati lo difendono a spada tratta, per altri il quoziente intellettivo è una semplificazione che lascia il tempo che trova. Forse perché si basa sulla convinzione che l’attività logica, “mentale”, sia la più importante di tutte: quella che ti dice quanto vali. Ma in realtà non esiste un’unica intelligenza — come ha spiegato già nel 1983 lo psicologo Howard Gardner nel libro Frames of mind. Ognuno di noi infatti possiede diverse intelligenze (almeno sette, ma c’è chi ne conta fino a nove); e la diversità fra un essere umano e l’altro sta nel maggiore o minore sviluppo di ciascuna di queste intelligenze. L’abilità di usare appropriatamente i numeri e di sviluppare il ragionamento logico è alla base dell’intelligenza più facilmente riconosciuta, quella logico-matematica. Ma esistono parallelamente l’intelligenza linguistico-verbale; quella spaziale (che permette di ragionare su forme astratte e di orientarsi nello spazio: chi come me si perderebbe anche in un luna-park probabilmente ne è privo); quella corporea, che permette allo sportivo di eccellere e al ballerino di esprimere emozioni attraverso i suoi movimenti; quella musicale; e quelle inter- e intrapersonali, che hanno a che fare, rispettivamente, con la capacità di entrare in sintonia con gli altri e con se stessi. E ognuna di queste intelligenze è adatta ad attività e professioni particolari. Insomma, non c’è un solo modo di essere intelligenti. Non a caso, se pensiamo ai compagni di scuola di tanti anni fa, è molto probabile che diversi fra quelli che nella vita si sono fatti strada non avessero allora il massimo dei voti in pagella. E viceversa. Forse è un buon motivo per non preoccuparsi eccessivamente quando i propri figli non sembrano propensi a perseguire una carriera scolastica brillante. Anche se la continua diminuzione del QI medio che si registra inesorabilmente negli ultimi decenni (si parla di un calo di 7 punti ogni generazione a partire dagli anni 70) non sembrerebbe un dato particolarmente incoraggiante”. (aise)