RICERCA VS COVID

ROMA – focus/ aise - “COVID-19 tra dati scientifici, innovazioni tecnologiche e fake news. Il ruolo centrale dell’informazione”: questo il titolo dell’evento conclusivo delle manifestazioni per la Notte europea dei ricercatori, in programma oggi, organizzate dal Centro di ricerche ENEA di Brindisi nell’ambito del programma ERN-APULIA 2020. Fra i partecipanti, Andrea Crisanti, direttore Laboratorio Microbiologia dell'Università di Padova, Massimo Galli, direttore Clinica Malattie infettive Ospedale Sacco di Milano, Luigi Lopalco, docente di Igiene all’Università di Pisa e Assessore alla Sanità della Regione Puglia, Enrico Bucci, docente di Biologia, College of Science and Technology, Temple University (Pennsylvania), e Carmela Marino, responsabile della divisione ENEA di Tecnologie e metodologie per la salvaguardia della salute. La tavola rotonda – moderata dalla giornalista scientifica dell’ANSA Enrica Battifoglia – si svolgerà dalle 20 alle 22.30 di oggi, 27 novembre, e verrà trasmessa in diretta sul sito dell’ANSA e sulla pagina Facebook dell’ENEA.
Il dibattito conclude una giornata ricca di appuntamenti iniziati questa mattina con Virtual EIT Raw Materials Training, proseguito poi alle 15.00, con “Materiali naturali per l’edilizia sostenibile: tra sfida e realtà”, e ancora alle 17.00, con “Innovazioni tecnologiche ed analisi per contrastare la pandemia da COVID-19”.
L’iniziativa ERN Apulia, finanziata dall’Unione europea, è coordinata dall’Università del Salento e vede coinvolti, oltre all’ENEA, CNR, INFN, IIT, Università e Politecnico di Bari, Università di Foggia, IRCCS-DeBellis di Castellana Grotte e Museo Archeologico nazionale di Taranto (MArTA).
Uno studio ENEA, realizzato in collaborazione con le Università di Urbino e Singapore, ha permesso di individuare in alcuni farmaci già in uso nella pratica clinica proprietà che contrastano i meccanismi cellulari e molecolari dell’infezione da virus SARS-CoV-2 e la progressione della malattia COVID-19. La ricerca realizzata con il Big Data approach, ovvero utilizzando piattaforme computazionali che raccolgono una grande mole di informazioni, è stata pubblicata sulla piattaforma “Research Square” e a breve apparirà anche sulla rivista internazionale peer-reviewed “Frontiers in Pharmacology”.
Lo studio è stato ispirato al “repurposing”, ossia riqualificazione - tra le linee guida raccomandate dalla Comunità europea – e prende in considerazione farmaci già in uso, approvati sia dall’European Medicines Agency (EMA) che dalla Food and Drug Adminstration (FDA), noti per l’azione come antitumorali, chemiopreventivi, broncodilatatori, antipertensivi, in grado però di colpire anche i bersagli molecolari della COVID-19, bloccandone o limitandone la progressione. Lo studio in silico ha permesso di predire i meccanismi molecolari dell’infezione ed individuare possibili farmaci.
“A questa ricerca ha collaborato Seeram Ramakrishna, uno dei tre più quotati ricercatori a livello mondiale nel campo della bioingegneria, secondo la recente classifica Google World ranking of scientists”, spiega Laura Teodori, del Laboratorio Diagnostiche e Metrologia ENEA, primo autore della pubblicazione.
“Lo studio è stato il primo in assoluto ad aver identificato la proteina HDAC (istone deacetilasi), una tra le più importanti molecole che regola l’espressione dei nostri geni, come utile bersaglio terapeutico per contrastare il virus. I risultati validati dal confronto con i dati clinici di uno studio cinese su 1096 pazienti di COVID-19, aprono la strada a nuovi studi nel settore del drugrepurposing e drug-discovery”, aggiunge Teodori.
“Successivamente, altri gruppi hanno evidenziato l’HDAC come utile bersaglio per contrastare il virus SARS-CoV-2. Si tratta di un risultato di notevole impatto clinico, in quanto esiste già un discreto numero di farmaci e anche composti bioattivi di origine naturale come la quercitina, un flavonoide presente in alcunialimenti, con comprovata attività HDAC inibitrice, attualmente utilizzati per altre patologie che potrebbero essere reclutati per contrastare la malattia COVID-19”, conclude la ricercatrice.
La rapida diffusione del Covid-19, e il suo generare focolai di differente intensità in diverse regioni dello stesso Paese, hanno sollevato importanti interrogativi sui meccanismi di trasmissione del virus e sul ruolo della trasmissione in aria (detta airborne) attraverso le goccioline respiratorie. Mentre la trasmissione del SARS-CoV-2 per contatto (diretta o indiretta tramite superfici di contatto) è ampiamente accettata, la trasmissione airborne è invece ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.
Grazie ad uno studio multidisciplinare, condotto dall’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Lecce, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dall’Istituto di scienze polari del Cnr (Cnr-Isp) di Venezia e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (Izspb), sono state analizzate le concentrazioni e le distribuzioni dimensionali delle particelle virali nell’aria esterna raccolte simultaneamente, durante la pandemia, in Veneto e Puglia nel mese di maggio 2020, tra la fine del lockdown e la ripresa delle attività.
La ricerca, avviata grazie al progetto “AIR-CoV (Evaluation of the concentration and size distribution of SARS-CoV-2 in air in outdoor environments) e pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, ha evidenziato una bassa probabilità di trasmissione airbone del contagio all’esterno se non nelle zone di assembramento.
“Il nostro studio ha preso in esame due città a diverso impatto di diffusione: Venezia-Mestre e Lecce, collocate in due parti del Paese (nord e sud Italia) caratterizzate da tassi di diffusione del COVID-19 molto diversi nella prima fase della pandemia”, spiega Daniele Contini, ricercatore Cnr-Isac.
Durante la prima fase della pandemia, la diffusione del SARS-CoV-2 è stata eccezionalmente grave nella regione Veneto, con un massimo di casi attivi (cioè individui infetti) di 10.800 al 16 aprile 2020 (circa il 10% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,9 milioni. Invece, la regione Puglia ha raggiunto il massimo dei casi attivi il 3 maggio 2020 con 2.955 casi (3% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,0 milioni di persone. All'inizio del periodo di misura (13 maggio 2020), le regioni Veneto e Puglia erano interessate, rispettivamente, da 5.020 e 2.322 casi attivi.
“Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili quali la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni meteorologiche. Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, sottolinea Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac.
La potenziale esistenza del virus SARS-CoV-2 nei campioni di aerosol analizzati è stata determinata raccogliendo il particolato atmosferico di diverse dimensioni dalle nanoparticelle al PM10 e determinando la presenza del materiale genetico (RNA) del SARS-CoV-2 con tecniche di diagnostica di laboratorio avanzate.
“Tutti i campioni raccolti nelle aree residenziali e urbane in entrambe le città sono risultati negativi, la concentrazione di particelle virali è risultata molto bassa nel PM10 (inferiore a 0.8 copie per m3 di aria) e in ogni intervallo di dimensioni analizzato (inferiore a 0,4 copie/m3 di aria)”, prosegue Contini. “Pertanto, la probabilità di trasmissione airborne del contagio in outdoor, con esclusione di quelle zone molto affollate, appare molto bassa, quasi trascurabile. Negli assembramenti le concentrazioni possono aumentare localmente così come i rischi dovuti ai contatti ravvicinati, pertanto è assolutamente necessario rispettare le norme anti-assembramento anche in aree outdoor”.
“Un rischio maggiore potrebbe esserci in ambienti indoor di comunità scarsamente ventilati, dove le goccioline respiratorie più piccole possono rimanere in sospensione per tempi più lunghi ed anche depositarsi sulle superfici”, sottolinea Andrea Gambaro, professore a Ca’ Foscari. “E’ quindi auspicabile mitigare il rischio attraverso la ventilazione periodica degli ambienti, l’igienizzazione delle mani e delle superfici e l’uso delle mascherine”.
“Lo studio e l’applicazione di metodi analitici sensibili con l’utilizzo di piattaforme tecnologicamente avanzate permettono, oggi, di rilevare la presenza del Sars-CoV-2 anche a concentrazioni molto basse, come potrebbe essere negli ambienti outdoor e indoor, rendendo la diagnostica di laboratorio sempre più affidabile” conclude Giovanna La Salandra, dirigente della Struttura ricerca e sviluppo scientifico dell’Izspb.
Lo studio delle concentrazioni in alcuni ambienti indoor di comunità sarà oggetto di una seconda fase del progetto AIR-CoV.
Lo sviluppo della ricerca e delle alte tecnologie realizzato dall’INGV trova applicazione anche in molte altre branche della ricerca scientifica. È il caso dello studio “Pipeline for Advanced Contrast Enhancement (PACE) of Chest X-ray in Evaluating COVID-19 Patients by Combining Bidimensional Empirical Mode Decomposition and Contrast Limited Adaptive Histogram Equalization (CLAHE)” recentemente pubblicato sulla rivista “Sustainability” di MDPI, condotto in collaborazione con l’Università di Messina e l’Università di Catania, per lo sviluppo di un applicativo software chiamato “PACE” prodotto per offrire un importantissimo supporto ai radiologi nella diagnosi e nella cura delle patologie polmonari gravi come quelle causate dal COVID-19.
Infatti, è venuta in aiuto alla diagnostica per immagini applicata ai pazienti affetti da patologie polmonari quella normalmente utilizzata dall’INGV per caratterizzare lo “stato di salute” della crosta terrestre.
“L’analogia tra l’interno della Terra e interno dei polmoni può apparire alquanto audace”, afferma Massimo Chiappini, ricercatore dell’INGV e coautore dell'iniziativa. “Tuttavia questa ricerca nasce proprio dall’intuizione di utilizzare su immagini mediche le stesse tecniche di trattamento delle immagini che utilizziamo normalmente per la rappresentazione del sottosuolo nelle aree soggette a rischio sismico, vulcanico o ambientale”.
È noto infatti che per i pazienti affetti da gravi patologie polmonari come, negli ultimi tempi il COVID-19, la valutazione radiologica di lesioni polmonari è indispensabile sia per il monitoraggio dell’evoluzione della malattia sia per valutare la risposta alle specifiche terapie. Tuttavia, quest’attività è resa complessa dal fatto che i pazienti, specialmente nelle fasi acute della malattia, non sono collaborativi e/o si trovano in terapia intensiva. In tali situazioni, inoltre, i radiogrammi sono effettuati spesso con strumenti radiografici portatili che, spesso, producono immagini artefatte che ne riducono la leggibilità.
Pertanto, il software PACE, sviluppato dal team multidisciplinare dei ricercatori dell’INGV, dell’Università di Messina (guidato dal prof. Giovanni Finocchio del Dipartimento di Scienze Matematiche e Informatiche, Scienze Fisiche e Scienze della Terra (MIFT) e dal prof. Giuseppe Cicero del Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali) e dell’Università di Catania (guidato dai proff.i Giulio Siracusano e Aurelio La Corte), è stato ideato per risolvere questi problemi di rappresentazione grafica ottimizzando al massimo il contrasto delle immagini radiografiche del torace.
Ad oggi, vista l’urgenza, i medici l’hanno applicato alle immagini raccolte sui pazienti COVID-19 del Policlinico Universitario “G. Martino” di Messina: con PACE è migliorata significativamente la lettura del radiogramma da parte del radiologo. L’algoritmo, infatti, combina lo stato dell’arte di applicativi numerici di elaborazione delle immagini, quali la decomposizione empirica bi-dimensionale, il filtro omomorfico e l’equalizzazione adattiva dell'istogramma in modo opportuno.
“Dal punto di vista clinico” - afferma il prof. Gaeta del Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali dell’Ateneo di Messina, “è stato fondamentale verificare che le informazioni aggiuntive prodotte da PACE fossero reali. Per far questo, sono state effettuate e confrontate congiuntamente le radiografie del torace e quelle delle TAC tradizionali: il grande successo è stato quello di verificare che le lesioni aggiuntive che il software PACE rilevava nelle semplici immagini radiografiche fossero tutte confermate dalle TAC”.
“La ricaduta del software ideato da INGV e dalle Università siciliane è rilevantissima in ambito sociale” afferma Massimo Chiappini. “Tra i vantaggi, infatti, oltre la evidente riduzione dei costi e di tempi derivante dalla non indispensabilità dei macchinari per la TAC per avere identici risultati diagnostici utili, con l’uso di PACE è sufficiente effettuare un solo intervento sul paziente per l’esame radiografico con un minor rischio di diffusione di malattie virali anche tra gli operatori sanitari come nel caso del COVID-19. Inoltre, questa tecnologia offre la possibilità di applicarla anche in condizioni limite dove l’accesso alla diagnostica TAC non è agevole sia per l’alto numero di degenti interessati sia per i costi della macchina stessa che, nelle aree economicamente poco sviluppate, quali l’Africa ed il Sud America, rappresenta una strumentazione proibitiva”.
Dato l’alto interesse riscontrato in ambito medico, tutti i risultati della ricerca sono a stati messi a disposizione della comunità scientifica liberamente. (focus\ aise)