Scalabriniani/ 28 novembre: un anniversario di memoria e di prospettiva – di Lorenzo Prencipe

ROMA\ aise\ - Centotrentotto anni fa, il 28 novembre 1887, Giovanni Battista Scalabrini, nato l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco in provincia di Como e Vescovo di Piacenza dal 1876, fonda la Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo per la cura pastorale, sociale e culturale degli emigranti italiani soprattutto nelle Americhe.
Nel celebrare l’anniversario di nascita della Congregazione scalabriniana non è fuori luogo chiedersi se la memoria dei primi tempi continui ad ispirare e animare idee e iniziative odierne nell’opera di accompagnamento e sostegno dei migranti.
QUANDO E PERCHÉ NASCE LA CONGREGAZIONE DI SCALABRINI?
Il tempo di Scalabrini è il tempo dell’abolizione della schiavitù (1865 negli USA; 1888 in Brasile), dello sviluppo dell’industria e dell’urbanizzazione negli USA, dello sfruttamento agricolo nelle Americhe, delle crisi agricole e industriali in Europa, delle guerre d’indipendenza e d’espansione degli imperi coloniali, della nascita del socialismo e del movimento sindacale operaio, dell’espansione del commercio e degli squilibri demografici, della contrapposizione in Italia, tra Chiesa e Stato.
Nell'Europa del XIX secolo la grande crescita demografica porta la sua popolazione da 150 a 220 milioni. Dal 1830, molta gente lascia le campagne, sempre più in crisi, per trasferirsi nelle città, in cerca di lavoro e condizioni di vita accettabili. Dal 1815 al 1840, quasi 60 milioni di persone, soprattutto agricoltori ed artigiani, lasciano l’Europa per le Americhe. Tale movimento è anche una delle conseguenze della rivoluzione industriale che crea masse di poveri nei porti e nelle città industriali.
Dal 1840 al 1914 circa 100 milioni di Europei lasciano l’Europa. All’inizio erano numerosi gli Anglosassoni (Irlandesi, Inglesi, Tedeschi). In seguito, sono stati raggiunti dagli Ucraini, dai Polacchi, dagli ebrei di Russia e dagli Italiani, soprattutto lavoratori non qualificati e poco pagati. Se dall’Unità d’Italia, nel 1861, ad oggi possiamo contare oltre 30 milioni di emigrati italiani, dal 1876 (anno in cui Scalabrini diventa vescovo di Piacenza ed anche anno della prima rilevazione statistica in Italia) al 1905 (anno della morte di Scalabrini), 8 milioni di Italiani (di cui 1,5 milioni sono donne) lasciano il Paese: 3,7 milioni emigrano verso i paesi europei e 4,2 milioni verso le Americhe (1,7 milioni negli USA e 1 milione in Brasile). Questi emigrati provengono soprattutto dalle regioni del Nord Italia (4,5 milioni), seguite dalle regioni meridionali e insulari (2,8 milioni) e da quelle centrali (700 mila persone).
Solo nel 1887, anno della fondazione della Congregazione scalabriniana, emigrano complessivamente dall’Italia 215 mila persone, di cui 44 mila donne. Di questi espatriati 82 mila si dirigono nei paesi europei e 129 mila nelle Americhe (di cui 37 mila negli USA e 31 mila in Brasile). Sono 133 mila gli emigrati che lasciano le regioni settentrionali del Paese, contro 67 mila delle regioni meridionali e insulari e 15 mila di quelle centrali.
Scalabrini cerca, allora, di conciliare la conoscenza scientifica dei fenomeni sociali e la ricerca di soluzioni adeguate. In effetti, partendo dalla realtà della sua diocesi, dove durante le visite pastorali constata l’assenza di 28 mila persone partite all’estero, organizza del 1877 al 1878 un’inchiesta statistica e sociale sulle condizioni degli emigrati che porterà alla nascita della Congregazione dei Missionari per gli emigrati (Scalabriniani) che attraverso l’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, l’interlocuzione con governi e parlamenti al momento dell’elaborazione delle leggi, la gestione dell’accoglienza dei migranti nei porti di partenza e di arrivo, l’assistenza ai migranti durante il viaggio, l’opera d’alfabetizzazione, d’informazione e d’assistenza medica nei paesi di accoglienza, l’inserimento attivo nelle società di accoglienza senza perdere o barattare l’originaria fede religiosa né il legame con tradizioni, lingua e cultura del Paese di origine.
L’EREDITÀ DI SCALABRINI AGLI SCALABRINIANI: DUE INTUIZIONI FONDAMENTALI
Nella comprensione del fenomeno migratorio Scalabrini intuisce, innanzitutto, che il fenomeno migratorio è parte integrante e costitutiva, a livello internazionale, della “questione sociale o operaia” e incoraggia così il miglioramento delle condizioni di vita delle grandi masse popolari. È quanto oggi dichiariamo dicendo che le migrazioni sono uno degli elementi costitutivi (non congiunturali) delle nostre società e che vanno gestite in accordo con azioni perequative di cooperazione internazionale aiutando i Paesi di origine a uscire da retaggi neocoloniali.
In secondo luogo, Scalabrini capisce che il futuro della Chiesa si gioca più sul terreno della mobilità umana (incontro e coabitazione di popoli) che su quello delle frontiere missionarie della propagazione della fede tra i non credenti, come descrive nel documento Pro emigratis catholicis inviato alcuni mesi prima di morire alla Santa Sede preconizzando la creazione di una congregazione pontificia in favore dei migranti, capace di superare gelosie e sentimenti nazionalisti condivisi dagli stessi uomini di Chiesa.
L’originalità della visione scalabriniana è la globalità che coinvolge tutti gli aspetti del fenomeno (economici, sociali, morali, religiosi e ecclesiali), l’intero arco del percorso migratorio (la partenza, il viaggio, l’arrivo e l’insediamento nel paese di immigrazione) e l’implicazione di tutti gli attori pubblici e privati. Si tratta allora di cogliere l’alterità, la differenza come relazione/incontro e non come barriera/frontiera. E per far questo bisogna saper sviluppare la comunicazione, lo scambio, il dialogo con tutti gli uomini, senza erigere frontiere (culturali, nazionali o religiose), ma in condizioni di libertà e di uguaglianza. Il rispetto della differenza implica come condizione essenziale la lotta conto le disuguaglianze e le discriminazioni.
Oggi, nelle società plurietniche e pluriculturali, gli stranieri vanno visti non come problemi ma come risorse da valorizzare. É questa la sfida della comunicazione vissuta da Scalabrini. Là dove c’era rottura di comunicazione, indipendentemente dalle cause, che potevano essere politiche (come per la rottura tra Chiesa e Stato italiano), fisiche (come per i sordo-muti), culturali o linguistiche (nelle migrazioni), sociali (sfruttamento dei poveri, soprattutto contadini e operai), educative (analfabetismo), religiose (ignoranza religiosa), là Scalabrini ha lasciato le tracce della sua visione profetica e della sua testimonianza di vita.
COSA CELEBRANO ALLORA GLI SCALABRINIANI OGNI 28 NOVEMBRE?
Non tanto la ricorrenza di un momento, ma l’impegno di una vita in continua evoluzione perché ristabilire la comunicazione interrotta e ristabilirla in ogni campo è l’eredità che Scalabrini lascia ai suoi “figli” oggi. E gli scalabriniani sono continuamente e nuovamente chiamati a farsi migranti con i migranti, lenire le ferite materiali e spirituali di tanti fratelli costretti a vivere lontani dalla loro patria, sostenerli nella difesa dei diritti fondamentali della persona umana, sensibilizzare le comunità ad una accoglienza rispettosa, aperta e solidale e cogliere nelle migrazioni un segno della vocazione eterna dell’uomo (Regole di Vita, 2 della Congregazione dei Missionari di S. Carlo).
Come Scalabrini voleva che la fede degli emigranti fosse preservata così i suoi missionari sono chiamati a dare il giusto posto alla cultura d’origine dei migranti perché, tenendo in vita le tradizioni e la lingua, anche la loro fede cristiana possa esprimersi nella maniera più familiare, senza comunque sottovalutare l’impegno di creare nuovi vincoli di comunicazione e incontro tra le diverse culture che le migrazioni veicolano. Inoltre, i missionari scalabriniani operano con e in favore dei migranti per superare le situazioni di sfruttamento e d’emarginazione e favorire l’inclusione attiva e propositiva nella comunione ecclesiale e civile.
Quando negli anni Sessanta del XX secolo la Congregazione scalabriniana capisce che era il momento di piantare le sue tende non solo fuori dall’Italia, ma anche fuori dalla propria cultura, viene modificato lo scopo iniziale dell’Istituto (“in favore degli emigrati italiani”) superando la barriera / distinzione etnica. Dal 1966 la nuova finalità dei missionari di Scalabrini diventa l'assistenza pastorale dei migranti più bisognosi, indipendentemente dalla nazionalità. Da questa data la congregazione scalabriniana s'internazionalizza: i suoi missionari si preoccupano dei migranti di ogni origine e, allo stesso tempo, i giovani di ogni origine cominciano a far parte delle comunità scalabriniane. Altre posizioni pastorali sono aperte in 32 Paesi del mondo: Portogallo, Paraguay, Porto Rico, Colombia, Messico, Filippine, Guatemala, Haiti, Repubblica Dominicana, Sud Africa, Taiwan, Bolivia, Perù, Indonesia, Giappone, Vietnam, Mozambico, Spagna, Ecuador, San Salvador, Uganda, Dubai.
L’allargamento del fine istituzionale comporta alcuni cambiamenti radicali nella maniera di considerare l’emigrazione. Fino agli anni 1970-1980, l’emigrato s’identificava con italiano, portoghese, spagnolo, cioè un europeo, di cultura e religione cristiana. D’ora in poi l’emigrato è sempre più latino-americano, asiatico, africano o d’Europa dell’est, e sempre più spesso di cultura e religione non cristiana (spesso musulmana, ma non solo).
La stessa Italia da serbatoio di mano d'opera per l'emigrazione mondiale diventa paese di accoglienza per numerosi immigrati comunitari e non. La reazione immediata è quella di dimenticare il proprio passato di emigrazione e di esigere che gli immigrati di oggi paghino lo stesso prezzo (compresi gli interessi) pagato dagli italiani di un tempo nel difficile processo di inserimento nei Paesi di accoglienza...
Ancor’oggi, pochi si rendono conto, come nel 1901 scriveva Scalabrini al Papa Leone XIII, “…che l’immigrazione è una risorsa straordinaria, un grande regalo per un paese…”.
Durante 138 anni di esistenza quella congregazione, nata dall’intuizione profetica di Scalabrini, continua ad estendere i confini della sua azione e nelle diverse società e chiese di accoglienza dei migranti non opera per costruire “spazi paralleli”, solo per i migranti, ma per invitare tutti, autoctoni e migranti, cristiani e non-cristiani, a vivere lo spirito dell’accoglienza e della solidarietà di modo che ognuno possa dare il suo contributo alla costruzione di una società umana, degna e rispettosa di tutti e di ognuno.
La Congregazione scalabriniana – tramite le sue opere pastorali (parrocchie, missioni, case del migrante, centri di animazione e servizio, mezzi di comunicazione, centri di studio) - si prefigge infatti, di servire la Chiesa e la società civile affinché l'una e l'altra prendano coscienza delle proprie responsabilità verso i migranti, non in quanto “oggetto di attenzione”, ma come fattore di trasformazione e ricomposizione del paesaggio sociale, culturale e religioso delle diverse società e chiese nazionali e internazionali. Sono le migrazioni, infatti, ad offrire i contenuti e le modalità con cui la Chiesa (e gli Scalabriniani in essa) pensa e attua la sua presenza nei differenti contesti sociali, culturali, economici, religiosi. A partire dalla non transitorietà del fenomeno migratorio, si può considerare le migrazioni come un fenomeno sociale “naturale” che, pur presentandosi come frutto di ingiustizia strutturale (contro cui lottare), può veicolare elementi positivi, soprattutto nell'ambito dell'incontro dei popoli.
Infatti, le migrazioni non sono solo il terreno privilegiato di sfruttamento, ignoranza, discriminazione, solitudine, isolamento, povertà (aspetti oggi ancor più violenti di ieri e contro cui non ci si può esimere di prendere posizione), ma sono anche concrete possibilità di relazioni e mediazioni tra persone, gruppi regionali, origini, nazioni, culture diverse, non certo per mettere in evidenza (in maniera quasi esclusiva e ossessiva) l'altro (l'etnicità nel suo aspetto distintivo o di sostituzione prevaricatrice) ma per dare priorità alla mediazione, al rapporto interattivo tra i differenti soggetti, attori e partners sociali e ecclesiali.
In realtà i 3 elementi necessari per costruire una società umana capace d’assumere la propria composizione pluriculturale sono: la solidarietà, la coesione e l'interdipendenza. É sull’apertura (accoglienza, rispetto) all’altro (il diverso, l'immigrato, lo straniero) che una società può fondare la sua coesione interna, accettando così la dinamica relazionale dello scambio, dell’interdipendenza, come cammino per risolvere i conflitti inevitabili in ogni incontro con l’altro. Vivere insieme e divenire insieme (società e chiesa) è possibile e necessario perché “l’immigrazione non è un problema astratto, ma sono bambini, donne, uomini di carne e sangue, che hanno cuore e spirito, corpo e anima; sono nostri fratelli e nostre sorelle, sono il corpo di Cristo”, come ricordava spesso papa Francesco.
Possiamo, quindi, qualificare l’azione della Chiesa, come “compagna di viaggio” dei migranti, nella sua dimensione “religiosa” (conservazione e approfondimento della fede), “socioassistenziale” (ricerca di risposte ai bisogni essenziali dei migranti: casa, lavoro, salute), “culturale” (identità linguistica di appartenenza) “aperta all’interculturale” (capacità di incontro, dialogo, mediazione, accettazione e valorizzazione positiva dell’altro) per favorire quella risorsa “integrazione” capace di arricchire le società di accoglienza. E, in tale impegno, il CSER, e gli altri centri studi scalabriniani, quali istituzioni culturali integrali aperte all’incontro e al dialogo, possono continuare ad essere credibili solo corrispondendo alle esigenze di analisi scientifica che non disgiunge i fatti dal fondamento etico e spirituale, e operando in collaborazione con quanti si riconoscono nei medesimi ideali di rigore scientifico e di impegno civile a favore dei migranti.
Auguri, allora, e buon lavoro, Congregazione scalabriniana. Ad multos annos! (padre lorenzo prencipe*\aise)
* Cser