Cavo Dragone: “È nata la professione dei dronologi. Sono gli ex virologi” – di Alessandro Butticé

BRUXELLES\ aise\ - A Frascati, presso il centro ESA–ESRIN, si sono svolti oggi gli Stati Generali della Difesa, dello Spazio e della Cybersecurity – The Upcoming Challenges for the European Industry, appuntamento che ha riunito istituzioni, industria, mondo accademico e rappresentanti della NATO e dell’Unione Europea. Un’agenda fitta, che ha spaziato dall’analisi della situazione politica europea al percorso verso una difesa comune, fino al ruolo strategico dello spazio e alla sfida della guerra ibrida e della sicurezza cibernetica.
Ad aprire i lavori è stato anche l’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato Militare della NATO, che con una battuta destinata a fare notizia ha introdotto la centralità dei droni nei conflitti contemporanei ma anche nelle discussioni, non solo da talk show, di questi giorni: “durante la pandemia abbiamo scoperto i virologi. Oggi nasce una nuova professione: quella dei dronologi”.
Il presidente del Comitato Militare della NATO, passando immediatamente ad un tono ben più serio, non si è limitato a una fotografia della situazione. Ha tracciato una rotta, indicando i tre pilastri della sicurezza contemporanea: difesa, spazio e cybersicurezza. Senza i satelliti, ha ricordato, non esistono né intelligence né deterrenza. Senza il dominio cibernetico, non c’è resilienza.
Il cuore del messaggio è stato però rivolto all’industria. Cavo Dragone ha ribadito la necessità di ribaltare la logica che troppo spesso vede la tecnologia correre avanti e la strategia inseguire: “non possiamo più permetterci che sia l’offerta a dettare l’agenda. Le esigenze operative devono guidare l’innovazione. Serve un modello user-driven and industry-enabled”. In altre parole: i militari non come semplici clienti, ma come co-architetti delle capacità future.
Tre le sfide che l’Ammiraglio ha definito decisive per l’Europa: velocità, in un mondo dove i cicli tecnologici non tollerano lentezze burocratiche; sostenibilità, per ridurre dipendenze strategiche da fornitori extraeuropei; e scalabilità, perché la guerra in Ucraina ha mostrato quanto la richiesta di capacità satellitari, ISR e cyber possa crescere in modo esponenziale.
Sul piano politico, Cavo Dragone ha richiamato alla complementarità tra NATO e Unione Europea, respingendo tanto il rischio di duplicazioni quanto l’illusione di modelli alternativi: “non siamo rivali. Siamo alleati. L’autonomia strategica europea non è isolamento, ma un rafforzamento del pilastro europeo dentro l’Alleanza”.
In conclusione, il suo monito è stato netto: “il tempo delle riflessioni astratte è finito. Il tempo delle scelte è ora. Da soli, forse, andremmo più veloci. Ma insieme, sicuramente, andremo più lontani”.
Un messaggio chiaro, ribadito da altri oratori di prestigio che il Parlamento europeo e la Commissione europea sono riusciti a riunire presso la sede di Frascati dell’Agenzia Spaziale Europea: la sicurezza collettiva non è più una materia da specialisti. È una responsabilità politica, industriale e culturale che riguarda tutti i cittadini. Per questo, forse, piú che i “dronilogi” da talk show, serve oggi un’opinione pubblica molto più consapevole dei rischi che il mondo, di cui l’Europa è parte, sta correndo.
Ma anche che, al netto dell’ovvietá che tutti (tranne i pazzi) preferiscano la pace alla guerra, come è meglio essere belli che brutti, sani piuttosto che malati, o intelligenti piuttosto che stupidi, come ha ben ricordato Bruno Vespa, tra gli intervenuti ai lavori: si vis pacem para bellum. Se i cittadini europei, a cominciare dagli italiani, vogliono davvero la pace, sapendo di non poter contare più solo sull’ombrello Usa, hanno oggi l’obbligo di costituire una deterrenza anche. Preparandosi a difendere la pace anche con la guerra. A cominciare da quella ibrida. (alessandro butticé\aise)