Trump e Hamas, trattativa aperta/ Il Presidente Usa spinge per la pace – di Gabriella Ferrero

WASHINGTON\ aise\ -Cinquanta sedie vuote disposte ordinatamente attorno a un lungo tavolo giallo, allestito nel cuore di Tel Aviv in occasione del 4 luglio, non per festeggiare, ma per ricordare: sono gli ostaggi israeliani ancora prigionieri nella Striscia di Gaza, da quel tragico 7 ottobre che ha sconvolto il Medio Oriente. Uno striscione che recita provocatoriamente “Un Grande Bellissimo Accordo sugli ostaggi”, parafrasando lo stile del Presidente americano Donald Trump, considerato oggi da molte famiglie degli ostaggi l’unica figura in grado di imprimere una svolta alla trattativa.
In prima linea tra i manifestanti, Einav Zangauker – madre di Matan, 25 anni, rapito nel kibbutz di Nir Oz – ha rivolto un appello accorato direttamente a Trump, chiedendogli di continuare a esercitare pressione sul premier israeliano Benjamin Netanyahu. Accanto a lei, Keith Siegel, uno degli ostaggi liberati a febbraio, ha rilanciato: “se è riuscito a negoziare con l’Iran, può ottenere anche questo”.
Il fattore Trump
Nel caos della politica mediorientale, emerge una variabile che potrebbe fare la differenza: Donald Trump. Il Presidente americano è stato pubblicamente invocato come mediatore credibile da famiglie israeliane e da ostaggi liberati. Trump, tornato prepotentemente sulla scena globale, ha ospitato alla Casa Bianca l’ex ostaggio Edan Alexander. “Concluderemo l'affare”, ha promesso.
Dopo aver dimostrato il suo peso con l’Iran, secondo fonti diplomatiche, sarebbe proprio lui a poter convincere Netanyahu, specie in vista del vertice previsto con l’alleato alla Casa Bianca. Trump, che in passato ha siglato la storica normalizzazione tra Israele e alcuni Paesi arabi con gli Accordi di Abramo, potrebbe ora essere l’uomo giusto per sbloccare un'intesa più ampia, quella “intesa delle intese” con Hamas.
Mentre le famiglie degli ostaggi implorano azioni concrete, il quadro diplomatico sembra avviarsi verso una possibile svolta. La risposta di Hamas alla nuova versione del cosiddetto “piano Witkoff” – dal nome dell’inviato speciale USA – è arrivata nella tarda serata di ieri, al termine di una maratona negoziale a Istanbul.
Da Tel Aviv a Istanbul, passando per Washington e Doha, i contatti si intensificano. La risposta ufficiale di Hamas alla nuova proposta americana è arrivata, e secondo fonti del Qatar per la prima volta da mesi si parla apertamente di una “risposta positiva, ma con piccole modifiche”.
Sul tavolo ci sono ancora delle condizioni, le “piccole modifiche”, che potrebbero però rivelarsi determinanti per sbloccare l’intesa.
Le richieste avanzate da Hamas non appaiono irricevibili: tra le principali, il ritiro della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) dalla distribuzione degli aiuti, la riorganizzazione del sistema umanitario secondo le modalità della precedente tregua, il ritiro delle forze israeliane (IDF) dalle posizioni occupate e, soprattutto, la garanzia che i combattimenti non riprenderanno al termine della tregua di 60 giorni.
Un impegno sottile, sostenuto dagli USA insieme a Qatar ed Egitto, che tuttavia non rappresenta ancora una garanzia di pace duratura, bensì un corridoio negoziale per proseguire il dialogo.
Nel contesto più ampio, si gioca anche una nuova configurazione diplomatica in Medio Oriente. Il Qatar, promotore attivo della tregua, cerca di imporsi come mediatore privilegiato tra USA e Hamas, sfidando il tradizionale ruolo dell’Egitto e la crescente influenza dell’Arabia Saudita. Intanto, l’Iran, sempre più isolato, mostra i muscoli interrompendo la cooperazione con l’Agenzia Atomica Internazionale a Damasco. Ma emergono anche spiragli inaspettati: il ministro degli Esteri siriano si è detto pronto a tornare all’accordo di disimpegno con Israele sul Golan del 1974, segno, forse, che qualcosa si muove. Certo è che nulla sarà possibile senza una volontà politica vera e trasversale.
Nel frattempo, la diplomazia italiana continua a sostenere ufficialmente la necessità di un cessate il fuoco duraturo e la ripresa di un processo politico fondato sulla soluzione dei due Stati, nel rispetto del diritto internazionale. Ma, in assenza di una strategia europea coesa, anche in questo caso il protagonismo è lasciato a Washington.
Trump: tra calcolo politico e ambizione diplomatica, potrebbe effettivamente giocare un ruolo decisivo.
Sul terreno però la guerra continua a mietere vittime. Mentre i negoziatori discutono termini e clausole, la popolazione civile paga il prezzo più alto. In un video diventato virale sui social, la dodicenne Mayar al-Farr mostra le scarpe insanguinate del fratello Iyad, 19 anni, ucciso a Gaza mentre cercava un sacco di farina. Il Mediterraneo chiede giustizia all’intera comunità internazionale: ogni ora che passa senza un accordo è un’ora di troppo, per le famiglie degli ostaggi e per gli innocenti uccisi ogni giorno. (gabriella ferrero\aise)