I passi della ricerca (2)

ROMA – focus\aise - Da una collaborazione fra scienziati di tre Istituti di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) è stato sviluppato un innovativo sistema di nanomedicina, per migliorare l'efficacia dei trattamenti del tumore del colon-retto e ridurre gli effetti collaterali. Il gruppo, a prevalenza femminile, è composto da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti “Eduardo Caianiello” (Cnr-Isasi), dell’Istituto per l'endocrinologia e l'oncologia “Gaetano Salvatore” (Cnr-Ieos) e dell’Istituto di genetica e biofisica (Cnr-Igb) di Napoli, con il sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca su cancro.
I risultati sono stati pubblicati sull’International Journal of Nanomedicine. Nel sistema messo a punto si sono utilizzate nanoparticelle ibride, composte da diatomite (DNPs), oro (AuNPs), insieme a un farmaco anticancro, il galunisertib (LY), il tutto incapsulato in una matrice di gelatina. Le nanoparticelle sono state progettate per riconoscere e colpire selettivamente le cellule tumorali che esprimono la proteina L1CAM, un marcatore associato alla progressione del tumore e alle metastasi.
“Il nostro nanosistema si basa su un cuore di diatomite, una sostanza porosa derivata dai resti fossili di alghe microscopiche. La sua struttura offre notevoli vantaggi in termini di biocompatibilità e capacità di trasporto di molecole farmacologiche”, spiega Ilaria Rea, ricercatrice presso il Cnr-Isasi. A rendere il sistema ancora più efficace è la gelatina che avvolge il farmaco. “Grazie al pH specifico dell'ambiente tumorale,” prosegue Rea, “la gelatina permette un rilascio mirato del farmaco, aumentando l'efficacia e riducendo al minimo gli effetti collaterali”. Un altro aspetto sostanziale è la versatilità della diatomite. “Non solo è economica e abbondante, ma può essere facilmente modificata chimicamente affinché sia in grado di riconoscere in modo specifico le cellule tumorali. Per esempio, si possono aggiungere molecole specifiche sulla sua superficie, come quelle che interagiscono con proteine o recettori dei tumori, facendo così in modo che il farmaco sia rilasciato solo nelle aree cancerose, senza colpire i tessuti sani”. Grazie alla sua elevata porosità e stabilità, la diatomite rappresenta dunque un’alternativa valida e sostenibile ai materiali sintetici tradizionalmente utilizzati in nanomedicina.
Lo studio si è concentrato su L1CAM, una proteina altamente espressa in diversi tipi di tumori, incluso il cancro al colon retto, e strettamente associata alla progressione tumorale, alla formazione di metastasi e alla resistenza ai trattamenti convenzionali. “L1CAM è una sorta di marchio molecolare delle cellule tumorali più aggressive,” aggiunge Enza Lonardo, ricercatrice presso il Cnr-Igb. “Abbiamo scelto questa proteina per garantire che il nanosistema possa riconoscere e colpire selettivamente le cellule tumorali, evitando di danneggiare i tessuti sani.” Attraverso l’integrazione di anticorpi specifici contro L1CAM, il nanosistema è in grado di legarsi esclusivamente alle cellule che esprimono questa molecola. Una volta raggiunto il tumore, il sistema rilascia il farmaco in maniera controllata. Gli studi condotti finora hanno dimostrato che il nanosistema è in grado di ridurre significativamente la massa tumorale, senza causare effetti collaterali evidenti. “Questo approccio potrebbe ridurre significativamente il rischio di recidive e migliorare la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti”, conclude Lonardo.
Una delle caratteristiche più innovative del nanosistema è l’integrazione con tecniche di imaging che non richiedono mezzi di contrasto, basate sulla spettroscopia Raman amplificata (SERS). Questa tecnologia consente di monitorare il comportamento del farmaco e la risposta del tumore senza l’utilizzo di marcatori fluorescenti o radioattivi, che vengono sostituiti da nanoparticelle d’oro. “L'imaging ‘label-free’ può rappresentare una novità importante nella diagnostica,” spiega Anna Chiara De Luca, coordinatrice del laboratorio di biofotonica presso il Cnr-Ieos. “La spettroscopia Raman amplificata permette di ottenere un segnale ottico estremamente sensibile, anche in presenza di quantità minime di farmaco. Inoltre questo metodo consente di monitorare in tempo reale il rilascio del farmaco e la sua distribuzione nel microambiente tumorale e simultaneamente fornisce anche dati preziosi per valutare l’efficacia dell’intervento” aggiunge De Luca. “Si tratta di un approccio sperimentale che può permettere di rendere più preciso e mirato il trattamento in base alle esigenze specifiche di ogni paziente, aumentando l’efficacia della terapia e riducendo i tempi di risposta”.
Il gruppo di ricerca sta già lavorando per ottimizzare il nanosistema e valutarlo ulteriormente in cellule in coltura ottenute da pazienti e in animali di laboratorio. Inoltre sono in corso collaborazioni con partner internazionali per accelerare la transizione di questa tecnologia dai laboratori alle applicazioni cliniche. “Il nostro obiettivo è portare questa innovazione nelle corsie ospedaliere il prima possibile,” conclude Anna Chiara De Luca. “Siamo convinte che questa tecnologia possa migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti oncologici, offrendo loro nuove speranze per il futuro”.
Un nuovo scambiatore di calore per futuri reattori nucleari di IV generazione raffreddati a piombo liquido. È quanto ha progettato e realizzato ENEA nell’ambito del progetto europeo PATRICIA, che vede insieme 25 istituzioni di ricerca di 11 paesi, tra cui il Cern di Ginevra e tre partner italiani (ENEA, Politecnico di Milano e Università di Pisa). Il progetto punta a trovare soluzioni alla chiusura del ciclo del combustibile per offrire con il raffreddamento a metallo liquido pesante una soluzione al problema dei rifiuti radioattivi ad elevata radiotossicità e alla proliferazione nucleare.
“Questo scambiatore offre vantaggi rilevanti in termini di compattezza rispetto ai precedenti sistemi, migliorando l’efficienza del trasferimento di calore e incrementando la distanza tra i baricentri termici nel processo di circolazione naturale”, sottolinea il referente ENEA del progetto Daniele Martelli, ricercatore del Laboratorio Impianti e Tecnologie dei Metalli liquidi del Centro Ricerche Brasimone (Bologna). “Inoltre, i dati sperimentali raccolti costituiranno una risorsa fondamentale per la validazione dei codici numerici di calcolo utilizzati a supporto della progettazione di futuri reattori avanzati”.
Fin dai primi anni 2000 ENEA ha iniziato sviluppare tecnologie per reattori nucleari raffreddati a metallo liquido pesante (HLM - Heavy Liquid Metal), con l’obiettivo di sviluppare una tecnologia nucleare sicura e affidabile. In questo contesto, è stata sviluppata e messa in funzione la struttura sperimentale CIRCE (CIRColazione Eutettico), attualmente la più grande in Europa, dove è stato testato il nuovo scambiatore di calore.
L'impianto CIRCE si caratterizza per un vessel principale con un diametro interno di circa 1,2 m e un’altezza di 8,5 m, capace di contenere fino a 90 tonnellate di lega eutettica di piombo. Al suo interno vengono installate sezioni di prova continuamente aggiornate per soddisfare le esigenze di progetti sperimentali avanzati. Sull’impianto è disponibile una potenza di 1 MW che permette la simulazione di flussi termici rappresentativi di un reattore nucleare e le sue ampie dimensioni permettono di testare grandi componenti, anche in scala 1:1. Grazie alla sua versatilità, consente la simulazione termoidraulica e la qualifica di componenti per impianti nucleari a piscina, rendendola una risorsa cruciale per numerosi progetti europei, tra cui EUROTRANS, THINS, SEARCH, MAXIMA, MYRTHE, SESAME, oltre che PATRICIA. (focus/aise)