I passi della ricerca

ROMA – focus/aise - Lo studio e la valorizzazione della biodiversità agraria, aspetti che caratterizzano l’attività di ricerca dell’Istituto di Scienze delle Piante della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, lasciano il posto al dibattito sulla diversità culturale, riferita alle lingue e, soprattutto, al processo che ha portato alla loro nascita e alla loro affermazione. Mercoledì 30 (inizio ore 14.15) e giovedì 31 ottobre la Scuola Superiore Sant'Anna ospita a Pisa il simposio internazionale “Reconstructing Indo-European Prehistory: Lessons from Linguistic, Archaeology and Genetics”, organizzato da Mario Enrico Pè, docente di Genetica Agraria dell’Istituto di Scienze delle Piante della Scuola Superiore Sant’Anna, insieme a Riccardo Ginevra, ricercatore di Glottologia e Linguistica del Dipartimento di Filologia classica, Papirologia e Linguistica storica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Birgit A. Rasmussen Olsen, docente di Linguistica al Department of Nordic Studies and Linguistics dell’Università di Copenaghen; Kristian Kristiansen, docente di Archeologia al Department of Historical Studies dell’Università di Göteborg.
Il simposio presenta come le ricerche combinate di linguistica, archeologia e genetica abbiano consentito di ricostruire il protoindoeuropeo, la lingua preistorica dalla quale discendono tutte le lingue indoeuropee come l’italiano, l’inglese, il greco e l’hindi, e il contesto preistorico nel quale le diverse lingue si sono sviluppate e si sono diffuse. Questa ricostruzione getta luce su aspetti affascinanti delle strutture sociali e della mitologia delle popolazioni che parlavano la lingua ancestrale.
Secondo i promotori dell’evento scientifico, le lingue indoeuropee possono essere ricondotte, infatti, a un singolo antenato preistorico (il protoindoeuropeo), nonostante siano molto diverse, e risultino parlate in regioni distanti, dalle estremità del Nord Europa all'India e alla Cina, dalle coste delle Isole Britanniche a quelle dell'Anatolia e della Persia.
Il protoindoeuropeo è la una lingua parlata da comunità di pastori nomadi nella steppa eurasiatica, tra l'attuale Ucraina e Russia, più di 5mila anni fa. Le migrazioni che portarono le lingue indoeuropee a ramificarsi dall'antenato comune e a diffondersi in tutta l'Eurasia sono state ricostruite con grande precisione dagli specialisti di linguistica. L'ultimo decennio è stato però caratterizzato da progressi notevoli, grazie allo sviluppo di una metodologia interdisciplinare di ricostruzione, che integra linguistica, archeologia e paleogenetica. L'analisi comparativa e la ricerca interdisciplinare permettono di andare ancora oltre: è possibile ricostruire molteplici aspetti delle strutture sociali, delle pratiche rituali, della mitologia e della cultura poetica di chi parlava il protoindoeuropeo.
Mercoledì 30 e giovedì 31 ottobre alla Scuola Superiore Sant'Anna esperti di linguistica, archeologia e paleogenetica introducono il pubblico alla loro integrazione: queste tre discipline, in apparenza distanti, sono riuscite a creare un linguaggio comune e a completarsi a vicenda. Con una postilla, come sottolineano i promotori dell’evento scientifico: come sempre accade con le ipotesi basate su analisi scientifiche, il dibattito resta aperto.
I lavori saranno trasmessi anche in diretta sul canale youtube della Sant’Anna.
Come aumentare la quantità di polifenoli e fibre nella dieta, elementi noti per i loro effetti benefici? Una possibile risposta viene da uno studio dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino (Cnr-Isa), pubblicato sulla rivista Foods e realizzato in collaborazione con l’Istituto per la Bioeconomia del Cnr di Bologna, l’Università degli Studi di Napoli Federico II e con l’Università degli Studi di Salerno. La ricerca ha riguardato lo sviluppo e la caratterizzazione dal punto di vista chimico-fisico e sensoriale di biscotti arricchiti con vinaccia di uva rossa con potenziali effetti benefici sulla salute cardio-metabolica.
L’idea alla base dello studio parte dalla considerazione che i biscotti rappresentano un alimento base nella dieta di tantissime popolazioni del mondo. Nonostante la loro ampia diffusione, tuttavia, sono generalmente caratterizzati da un profilo nutrizionale non ottimale. I risultati della ricerca, parte del progetto "Sviluppo di Alimenti Funzionali per l’innovazione dei prodotti alimentari di tradizione italiana (Alifun)", sembrano suggerire una soluzione promettente per includere, nella dieta quotidiana, quantità significative di polifenoli, composti naturali presenti in molti alimenti, noti per i loro potenziali effetti benefici su alcuni fattori di rischio legati a diverse malattie cardio-metaboliche, come l’obesità e diabete di tipo 2.
Rosaria Cozzolino, ricercatrice del Cnr-Isa, tra gli autori dello studio, spiega: “Per aumentare l'assunzione giornaliera di polifenoli, abbiamo utilizzato la vinaccia da uva rossa, scarto della produzione di Aglianico Irpino, essiccandola e polverizzandola per arricchire al 20% e al 30%” una formula di biscotti 100% a base vegetale. Gli ingredienti principali, in particolare la vinaccia e l'olio extravergine di oliva, sono stati forniti da aziende locali; mentre i biscotti sono stati ideati dalla dott.ssa Annalisa Giosuè e preparati nella cucina metabolica dell’Unità di Nutrizione, Diabete e Metabolismo dell'Università Federico II (Napoli).
Le analisi chimiche, condotte dal Cnr-Isa e dall’Università di Salerno, hanno rivelato che i biscotti arricchiti con vinaccia presentavano un profilo nutrizionale significativamente migliore rispetto a quelli privi di vinaccia, grazie ad un maggiore contenuto di fibra e polifenoli, e a una minore quantità di grassi (e dunque una ridotta densità energetica). Tra i polifenoli presenti nei biscotti, predominano in particolare gli “antociani”, “flavonoidi” e “procianidine”, comunemente associate alla prevenzione del diabete e delle malattie cardiovascolari.
È stata infatti osservata una ridotta liberazione di zuccheri disponibili per l’assorbimento intestinale durante la digestione enzimatica, suggerendo che la fibra contenuta nei biscotti arricchiti con vinaccia possa "sequestrare" gli zuccheri. Questa azione combinata di fibra e polifenoli potrebbe ridurre significativamente la risposta glicemica dopo il consumo del prodotto.
Un secondo risultato interessante dello studio riguarda la minore concentrazione di composti organici volatili generati dalla “reazione di Maillard”, ovvero la trasformazione chimica che avviene negli alimenti in cottura, quando zuccheri e proteine si riscaldano insieme. Questo si traduce in una ridotta formazione di prodotti di “glicazione avanzata” (quando gli zuccheri si legano alle proteine o lipidi), la cui ingestione giornaliera è sempre più oggetto di attenzione in letteratura come potenziale meccanismo in grado di innescare e perpetuare l’infiammazione e lo sviluppo di malattie cardio-metaboliche. Le analisi sensoriali dei biscotti, condotte dall’Istituto per la Bioeconomia del Cnr di Bologna tramite un panel-test di esperti, hanno infine confermato che l’aggiunta di vinaccia non compromette gli attributi sensoriali dei biscotti, mantenendo la gradevolezza complessiva, con una preferenza generale per la formulazione al 20%.
“In conclusione, i prototipi di biscotti sviluppati sembrano essere promettenti non solo perché valorizzano un ingrediente di scarto, ma anche perché potrebbero rappresentare alimenti funzionali per un regime alimentare salutare per la popolazione generale. Ulteriori studi sono necessari per valutare gli effetti in vivo riguardo la biodisponibilità dei polifenoli, la loro azione sulla risposta glicemica e la modulazione a lungo termine di altri fattori di rischio per malattie cardio-metaboliche”, conclude Cozzolino.
Se l’applicazione dell’intelligenza artificiale è ormai di uso comune per l’individuazione e la lettura delle espressioni umane, finora la sua applicazione per specie di primati che non fossero l’uomo era inesplorata. Oggi l’Università di Torino è promotrice del primo studio orientato all’utilizzo dell’I.A. per decodificare le espressioni facciali dei primati non umani. La ricerca, pubblicata sulla rivista Ecological Informatics, mostra come l’utilizzo delle tecniche di deep learning possa essere efficace nel riconoscere i gesti facciali di lemuri e gibboni, facilitando l'indagine del repertorio facciale e consentendo una ricerca comparativa più efficace.
Gli studi sulle espressioni facciali nella comunicazione animale sono essenziali. Tuttavia, i metodi di ispezione manuale sono pratici solo per piccoli insiemi di dati. Le tecniche di deep learning possono aiutare a decodificare le configurazioni facciali associate alle vocalizzazioni su grandi insiemi di dati. Lo studio di UniTo, in particolare, indaga se si possano individuare le espressioni associate all’apertura della bocca e alle emissioni vocali.
“Quando abbiamo iniziato questo studio, tre anni fa, l’applicazione delle tecniche di deep learning al riconoscimento delle espressioni facciali di specie che non fossero l’uomo era un territorio completamente inesplorato. Oggi siamo di fronte a un progresso importante dal punto di vista tecnologico che potrà trovare ulteriore applicazione su specie finora ignorate e consentirà di condurre studi comparativi su larga scala”, spiega Filippo Carugati, dottorando di Scienze Biologiche e Biotecnologie Applicate e primo autore del lavoro.
Grazie alla presenza di una stazione di ricerca nella foresta di Maromizaha, in Madagascar, studenti e dottorandi dell’Università di Torino hanno potuto riprendere gli animali in natura, facendo sì che quanto indagato riguardasse non solo gibboni filmati in cattività ma anche lemuri indri e sifaka registrati in ambiente naturale. Durante lo studio sono stati utilizzati algoritmi di apprendimento automatico per classificare i gesti vocalizzati e non vocalizzati nelle diverse specie. Gli algoritmi hanno mostrato tassi di classificazione corretta superiori alla norma, con alcuni che hanno superato il 90%.
“Lo studio delle espressioni facciali di scimmie e lemuri è storicamente legato ad analisi fortemente soggettive, in cui le scelte dell’operatore talvolta rischiano di influenzare i risultati delle ricerche, senza contare i tempi notevoli che coinvolgono necessariamente il training e il lavoro degli operatori. Con questo studio abbiamo dimostrato come, allenando gli algoritmi su una percentuale di dati inferiori al 5%, si possano ottenere elevatissime percentuali di identificazione corretta delle espressioni associate alla produzione di vocalizzazione rispetto a quelle associate ad altre situazioni. Percentuali anche superiori al 95%”, aggiunge il Professor Marco Gamba, zoologo, senior author del progetto e presidente del Corso di Laurea Magistrale “Evoluzione del Comportamento Animale e dell'Uomo”. (focus\aise)