I passi della ricerca

ROMA – focus/ aise - Il Neolitico, iniziato circa 12.000 anni fa, segnò una trasformazione cruciale nella storia umana, con il passaggio da economie basate sulla caccia e raccolta alle prime forme di produzione di cibo, come l’agricoltura e l’allevamento. Questa transizione avvenne principalmente grazie alla dispersione di comunità agricole dall’Asia sud-occidentale, che introdussero nuovi stili di vita e causarono profondi mutamenti genetici nelle popolazioni autoctone. Cosa accadde in Nord Africa durante questa transizione? A fare chiarezza è un recente studio pubblicato su Nature, che ha coinvolto l’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ispc) e l’Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente (ISMEO).
“Il ruolo del Maghreb orientale in questa transizione è sempre rimasto meno chiaro, anche a causa della mancanza di studi genetici condotti nell’area”, spiega Giulio Lucarini, archeologo del Cnr-Ispc. “Tuttavia, questa nuova ricerca dimostra che le popolazioni locali mantennero un forte legame con le loro tradizioni di cacciatori-raccoglitori, sebbene alcuni apporti genetici dai primi agricoltori siano giunti attraverso il Mediterraneo".
Analizzando i dati genetici di individui vissuti tra 15.000 e 6.000 anni fa in questa regione africana, gli studiosi hanno evidenziato un’elevata continuità genetica. “L’analisi degli individui di circa 7.000 anni fa ha rivelato che, sebbene gli agricoltori europei abbiano contribuito al patrimonio genetico locale-generalmente per meno del 20%-il loro impatto fu molto più limitato rispetto ad altre aree del Mediterraneo settentrionale, dove le comunità agricole sostituirono in gran parte i gruppi di cacciatori-raccoglitori autoctoni”, prosegue Lucarini. “A differenza del Maghreb occidentale (l’odierno Marocco), dove l’ascendenza genetica legata agli agricoltori europei ha raggiunto, in alcune popolazioni, l’80%, nel Maghreb orientale l’introduzione della produzione alimentare sembra essere avvenuta attraverso una combinazione di migrazioni sporadiche, scambi culturali e una graduale diffusione delle conoscenze”.
“Le evidenze disponibili – aggiunge il ricercatore – sfidano quindi l’idea che l’agricoltura abbia completamente rimpiazzato le precedenti tradizioni. Al contrario, le comunità del Maghreb orientale dimostrarono una straordinaria resilienza, sia culturale che genetica".
Uno degli aspetti più affascinanti di questo studio è la scoperta di un’antica ascendenza genetica legata ai cacciatori-raccoglitori europei in un individuo tunisino vissuto circa 8.000 anni fa. “Questa è la prima chiara evidenza genetica di contatti tra le popolazioni dell’Europa meridionale e del Nord Africa, avvenuti attraverso rotte marittime, come quelle lungo lo Stretto di Sicilia”, spiega il ricercatore. Sebbene questa ipotesi fosse già stata avanzata in seguito al ritrovamento a Hergla (uno dei siti in cui sono stati scoperti i resti umani analizzati in questo studio) di ossidiana proveniente da Pantelleria, questa è la prima conferma diretta di tali contatti ottenuta grazie ad analisi genetiche.
La ricerca si allinea perfettamente con le evidenze archeologiche, che hanno mostrato come le comunità del Maghreb orientale abbiano continuato a basare la loro economia principalmente sull’allevamento di pecore, capre e, in minor misura, bovini, affiancando a questa pratica la raccolta di molluschi terrestri e piante spontanee e le attività di caccia. “Il passaggio alla produzione alimentare non fu dunque un processo uniforme in tutto il bacino del Mediterraneo. Nell’analizzare i movimenti di queste antiche popolazioni, è possibile ottenere informazioni fondamentali sui modelli di dispersione e adattamento dei gruppi umani, dinamiche che, in alcuni casi, continuano a influenzare le società contemporanee”, conclude il ricercatore.
“Sviluppare la geotermia in Italia permetterebbe di raggiungere più facilmente gli obiettivi di decarbonizzazione: se anche solo valorizzassimo il 2% del potenziale presente in tutto il territorio italiano nei primi 5 km di profondità, la geotermia potrebbe contribuire al 10% della produzione elettrica prevista al 2050. La geotermia insomma può rappresentare la chiave di volta necessaria non solo al raggiungimento dei target europei di decarbonizzazione ma anche allo sviluppo complessivo del Paese e a una riduzione delle bollette per famiglie e imprese". Si è aperto con queste parole del Ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, l'“Italian Geothermal Forum”, l’evento di In Fieri e organizzato da Mirumir, dedicato alla promozione del dibattito sullo stato e sulle prospettive del settore geotermico, in programma oggi e domani presso il Centro Congressi “Auditorium della Tecnica” di Roma.
La manifestazione è realizzata in collaborazione con l’Unione Geotermica Italiana (UGI), l'Associazione Italiana Riscaldamento Urbano (AIRU), il Consiglio Nazionale dei Geologi, la Rete Geotermica e l'Associazione Nazionale Impianti Geotermia Heat Pump (ANIGHP) - sezione di ANIPA - con la partecipazione di numerosi importanti Sponsor.
“Ci aspettiamo molto da queste due giornate. È stato un lavoro lungo, iniziato due anni e mezzo fa. Mettere insieme tante anime non è mai una cosa semplice, ma devo dire che ce l’abbiamo fatta: esploreremo una materia energetica che ha grandissime prospettive, applicazioni che possono essere individuate anche nel giardino di casa. Si può fare geotermia praticamente ovunque”, ha dichiarato Paolo Angelini, Amministratore Unico In Fieri.
Al centro del dibattito, in particolare, la necessità di una strategia e di una alleanza industriale, con piani chiari a livello europeo e nazionale per supportare lo sviluppo della geotermia, e di una semplificazione dei permessi. Inoltre, è stata sottolineata la necessità di attrarre capitali privati, garantire contratti a lungo termine e mitigare i rischi finanziari.
Infine, per raggiungere gli obiettivi di sicurezza energetica e neutralità climatica al 2050, è fondamentale che l’Italia integri i contributi di tutte le tecnologie pulite disponibili, promuovendo lo sviluppo e l’impiego della fonte geotermica: costante, continua, pulita, disponibile ovunque e a minimo impatto ambientale.
“C’è bisogno di avere una strategia a livello europeo per sviluppare la geotermia. Abbiamo in Europa già 150 centrali elettriche, 400 reti teleriscaldamento e 2,5 milioni di PaCG ma possiamo fare molto di più. Possiamo triplicare questa capacità nei prossimi anni. Per questo abbiamo bisogno di avere degli obiettivi ma anche un quadro che permetta di raggiungere questi obiettivi: semplificazione della legislazione, avere un miglior quadro finanziario e anche una capacità industriale che permetta di creare posti di lavoro per tutti”, ha commentato a margine del suo intervento Philippe Dumas, Segretario Generale EGEC.
Durante il Forum è stato evidenziato che l'Italia è l'ottavo Paese al mondo e il primo in UE per potenza geotermica installata per la tecnologia tradizionale. Il nostro Paese è tra i leader europei con una potenza nominale superiore a 900 MegaWatt e una produzione elettrica annua di circa 6,1 TeraWattora all'anno (3% circa fabbisogno energetico nazionale).
L’evento proseguirà anche nella giornata di domani: è previsto il contributo del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che darà via alla seconda giornata. Tra gli interventi anche quelli del Direttore Generale ENEA, Giorgio Graditi, e del Presidente GSE, Paolo Arrigoni, sui piani di sviluppo del settore e sugli incentivi a disposizione.
Continueranno i dibattiti con sessioni plenarie sugli scenari di politica energetica e di mercato, e con sessioni tecniche parallele dedicate alla produzione geotermoelettrica, al teleriscaldamento, alle pompe di calore, al geoscambio, alle CER termiche e ai minerali strategici dalle brine geotermiche. (focus\aise)