I progressi della ricerca italiana

ROMA – focus/ aise – Un team di ricercatori del Politecnico di Torino composto da Paolo De Angelis, Giulio Barletta, Giovanni Trezza, Pietro Asinari ed Eliodoro Chiavazzo del laboratorio SMaLL – presso il Dipartimento Energia-DENERG – ha sviluppato un innovativo protocollo basato su Intelligenza Artificiale per selezionare, tra centinaia di migliaia di materiali finora inesplorati, i candidati più promettenti per applicazioni energetiche. Lo studio, pubblicato sulla rivista Energy and AI, introduce Energy-GNoME, il primo database “evolutivo” ad integrare algoritmi di Machine Learning con i preziosi dati del progetto GNoME (Graph Networks for Materials Exploration), sviluppato da Google DeepMind.
GNoME ha recentemente messo a disposizione della comunità scientifica un patrimonio senza precedenti: centinaia di migliaia di materiali mai studiati prima e teoricamente stabili, individuati grazie a tecniche di intelligenza artificiale generativa. Tuttavia, questi materiali non sono stati “caratterizzati”, ovvero non ne sono state indicate le possibili applicazioni tecnologiche. È proprio in questo contesto che si inserisce Energy-GNoME: il metodo sviluppato al Politecnico permette di individuare, tra l’enorme mole di candidati proposti da GNoME, quelli più ricchi di potenziale per il settore energetico, fornendo così un ponte essenziale tra la generazione di nuovi materiali e il loro utilizzo pratico.
Il protocollo utilizza un approccio in due fasi: prima, un sistema di “esperti artificiali” che - votando a maggioranza - identificano i composti con maggiori probabilità di possedere proprietà utili per applicazioni energetiche; successivamente, altri modelli opportunamente addestrati ne stimano con precisione i parametri chiave. Questo metodo consente di ridurre drasticamente il numero di candidati ritenuti utili per una certa applicazione tecnologica, ma al tempo stesso propone migliaia di nuove soluzioni per la conversione e lo stoccaggio di energia.
“Con Energy-GNoME abbiamo voluto dimostrare come l’Intelligenza Artificiale possa essere non solo uno strumento di analisi, ma un vero acceleratore di scoperta scientifica, capace di imparare dall’esperienza umana e crescere con i contributi della comunità. Allo stesso tempo puntiamo a risolvere una sfida cruciale dell’AI generativa: non basta esplorare alla cieca nuove possibilità, serve anche indirizzare questa esplorazione verso obbiettivi utili, perché un cristallo è solo un composto chimico, è la sua funzione ingegneristica che lo rende un materiale”, spiega Paolo De Angelis, primo autore dello studio.
“Un’importante merito del progetto risiede proprio nella natura “evolutiva” del database: attraverso una libreria Python open-source e linee guida rese pubbliche su GitHub, la comunità scientifica potrà contribuire con nuovi dati sperimentali o teorici, alimentando un processo iterativo di apprendimento attivo. In questo modo, la piattaforma è destinata a evolvere e a migliorare costantemente la sua capacità predittiva”, precisano Giulio Barletta e Giovanni Trezza.
“Questo approccio rappresenta una nuova frontiera nella modellazione dei materiali per le applicazioni energetiche: da un lato combina e sfrutta i saperi derivati da metodi sperimentali, teorici e di apprendimento automatico; dall’altro rende disponibile la conoscenza sintetizzata in un linguaggio interoperabile e accessibile, favorendo l’adozione e l’adattamento da parte di comunità scientifiche diverse”, aggiunge Pietro Asinari.
“Il nostro contributo principale è duplice: da un lato, aver reso disponibili alla comunità scientifica un’ampia selezione di nuovi materiali promettenti per applicazioni energetiche; dall’altro, aver messo a punto un protocollo metodologico che può essere facilmente esteso anche ad altri ambiti oltre a quelli trattati nello studio”, conclude Eliodoro Chiavazzo, coordinatore della ricerca. “In questo senso, Energy-GNoME non è solo un database, ma una vera e propria mappa per orientare futuri studi sperimentali e computazionali, accelerando l’esplorazione dei materiali avanzati in molteplici campi”.
Oltre al contributo diretto nel campo dell’energia, il lavoro apre prospettive più ampie: il protocollo messo a punto mira ad essere un riferimento metodologico per la comunità scientifica, offrendo una via rapida e scalabile per esplorare nuovi materiali in settori diversi, dall’elettronica avanzata alla biomedicina, fino alle tecnologie quantistiche e a quelle emergenti per la sostenibilità.
L’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche – Unità di Firenze (Cnr-Ifc) è coordinatore di uno studio internazionale che ha aperto una nuova strada alla comprensione del legame tra l’insorgenza di aritmie cardiache e le fibrosi, ovvero il processo, comune a molte cardiopatie, di sostituzione delle cellule muscolari cardiache con tessuto connettivo.
La ricerca, pubblicata su Nature Cardiovascular Research, si è avvalsa di un protocollo ottico avanzato di clearing dei tessuti e un microscopio a foglio di luce mesoscopico, grazie al quale il gruppo ha ricostruito in 3D l’intera struttura dei ventricoli, identificando con precisione le zone fibrotiche e la loro relazione con i cardiomiociti circostanti. Integrando questi dati con modelli computazionali, è emerso che la fibrosi non è un tessuto “inerte”, ma può promuovere un anomalo accoppiamento elettrico tra cellule muscolari e fibroblasti, creando così il substrato per aritmie da rientro.
“Finora non era chiaro come questo rimodellamento influisse sulla conduzione elettrica e sulla predisposizione alle aritmie”, spiega Leonardo Sacconi (Cnr-Ifc), coordinatore dello studio. “Questa tecnica innovativa, che combina la mappatura elettrofisiologica del cuore con ricostruzioni tridimensionali ad alta risoluzione, ci ha permesso di osservare che le aree fibrotiche si comportano come una sorta di filtro: permettono la normale conduzione elettrica a frequenze fisiologiche, ma bloccano o rallentano la propagazione a frequenze elevate, come quelle che si verificano durante condizioni di stress o tachicardia”. “Abbiamo così dimostrato che non basta conoscere la struttura del cuore per prevedere il rischio aritmico: è fondamentale integrare anche i processi di rimodellamento elettrofisiologico che si verificano nelle zone fibrotiche”.
Questo lavoro rappresenta un risultato di grande impatto scientifico della nuova Unità di Ricerca presso Terzi (URT) OptoCARD del Cnr-Ifc attiva all’interno dell’Università di Firenze in stretta collaborazione con Elisabetta Cerbai, ordinaria di Farmacologia dell’ateneo fiorentino. Inoltre, è frutto di una vasta collaborazione di ricerca internazionale, che ha visto lavorare insieme ricercatori e ricercatrici dell’Università di Friburgo, King’s College London, Università di Padova, Florida State University, Politecnico di Milano, Karlsruhe Institute of Technology, Università di Firenze, University of Connecticut e Laboratorio Europeo di Spettroscopie non Lineari.
Lo studio apre la strada anche a nuovi modelli predittivi “personalizzati” (digital twin) per la valutazione del rischio aritmico nei pazienti e per l’orientamento verso strategie terapeutiche mirate, incluse quelle di medicina di precisione e le terapie geniche di nuova generazione: un approccio che il ricercatore porta avanti anche con il progetto “HeartCORE”, vincitore nel giugno 2025 di un ERC Advanced Grant per il suo elevato impatto di innovatività. (focus\aise)