I volti del Made in Italy

ROMA – focus/aise - Il 93% delle produzioni tipiche nazionali che si consumano nasce nei comuni italiani con meno di cinquemila abitanti, un patrimonio di gusto e biodiversità che fa da traino anche al turismo, con 2 italiani su 3 (65%) tra coloro che andranno in vacanza che visiteranno un borgo nell’estate 2024, secondo Ixè. È quanto emerge dallo studio Coldiretti/Symbola su “Piccoli comuni e tipicità”, presentato ieri a Roma.
Il rapporto vuole raccontare un patrimonio enogastronomico del Paese custodito fuori dai tradizionali circuiti turistici, valorizzato e promosso grazie alla legge n.158/17, a prima firma Realacci, con misure per la valorizzazione dei Piccoli Comuni. Nei territori dei 5.538 piccoli comuni con al massimo 5.000 abitanti, in cui vivono quasi 10 milioni di italiani, si produce infatti ben il 93 per cento dei prodotti di origine protetta (DOP, Denominazione di Origine Protetta e IGP, Indicazione di Origine Protetta) e il 79 per cento dei vini italiani più pregiati. Il rapporto restituisce il quadro aggiornato per ogni regione di questa dimensione produttiva estesa e radicata che traduce in valore la diversità culturale.
Un sistema virtuoso che rappresenta ben il 70,1% dei 7901 comuni italiani. Il Piemonte è la regione con il maggior numero di Piccoli Comuni (1.045) seguito dalla Lombardia (1.038) e dalla Campania (345).
Ben 297 di 321 prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) italiani riconosciuti dall’Unione Europea hanno a che fare con i Piccoli Comuni che, nel dettaglio, garantiscono la produzione di tutti i 54 formaggi a denominazione, del 98% dei 46 olii extravergini di oliva, del 90% dei 41 salumi e dei prodotti a base di carne, dell’89% dei 111 ortofrutticoli e cereali e dell’85% dei 13 prodotti della panetteria e della pasticceria. Ma grazie ai piccoli centri è garantito anche il 79 per cento dei vini più pregiati che rappresentano il Made in Italy nel mondo. Un patrimonio conservato nel tempo dalle 279 mila imprese agricole presenti nei piccoli Comuni con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari.
Ci sono 26 prodotti che si realizzano esclusivamente in piccoli comuni: Formai de Mut dell'Alta Valle Brembana, Strachitunt, Castelmagno, Robiola di Roccaverano, Puzzone di Moena/Spretz Tzaorì, Pecorino di Picinisco Alto Crotonese, Seggiano, Fagioli Bianchi di Rotonda, Melanzana Rossa di Rotonda, Castagna di Vallerano, Fagiolo Cannellino di Atina, Farro di Monteleone di Spoleto, il Limone di Rocca Imperiale, il Marrone di Castel del Rio, Asparago di Cantello, Pescabivona, Lenticchia di Castelluccio di Norcia, i Maccheroncini di Campofilone, il Salame di Varzi, il Prosciutto di Carpegna, Valle d' Aosta Jambon de Bosses, Valle d' Aosta Lard d' Arnad/Vallée d'Aoste Lard d'Arnad, il Prosciutto di Sauris, il Salame S. Angelo, il Prosciutto di Norcia.
“Le ferie estive sono anche un’occasione per riscoprire i nostri prodotti tipici legati ai territori e ai piccoli comuni. I Piccoli Comuni – dichiara Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola – sono una straordinaria opportunità per l’Italia: un’economia più a misura d’uomo che punta su comunità e territori, sull’intreccio fra tradizione e innovazione, fra vecchi e nuovi saperi come dimostra il rapporto di Fondazione Symbola e Coldiretti. Qui si producono la maggior parte delle nostre Dop e Igp e dei nostri vini più pregiati, insieme a tanta parte di quel made in Italy apprezzato a livello internazionale. Possiamo competere in un mondo globalizzato se innoviamo senza cancellare la nostra identità, se l’Italia fa l’Italia. I piccoli comuni possono svolgere un ruolo importante nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) a patto di guardare l’Italia attraverso le lenti della coesione, dell’inclusione, della transizione verde, dell’innovazione e del digitale. Per questo è ancora più urgente dare piena applicazione alla legge, a mio nome, sulla valorizzazione dei piccoli comuni. Una legge di cui il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, aveva capito il valore quando salutò la campagna “Voler bene all’Italia” affermando che “scommettere sui piccoli comuni, investire su questi luoghi da parte di giovani imprenditori, grazie allo sviluppo dell’informatica e delle nuove tecnologie, può diventare una grande avventura da cogliere”. L’Italia può affrontare le crisi puntando sulla propria identità. Può competere e affermarsi senza perdere la propria anima. Cultura, bellezza e creatività sono le chiavi con cui scommettere per mantenere e rafforzare i primati internazionali che può vantare il nostro Paese”.
I piccoli borghi, aggiunge Ettore Prandini, presidente nazionale Coldiretti, “hanno un significativo valore economico, storico, culturale e ambientale in un paesaggio fortemente caratterizzato dalle produzioni agricole. Rappresentano anche un motore turistico che, se adeguatamente valorizzato, può diventare una risorsa strategica per il rilancio economico e occupazionale del Paese. Per salvaguardare questa ricchezza nazionale, è necessario creare le condizioni affinché la popolazione residente e le attività economiche possano rimanere. Negli ultimi dati ISTAT sulla popolazione italiana, si è registrata la perdita di oltre 35 mila residenti nei borghi in un anno. È quindi fondamentale contrastare lo spopolamento, che aggrava anche la situazione di isolamento delle aziende agricole e aumenta la tendenza allo smantellamento dei servizi, dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio".
Il perdurare della crisi geopolitica, l’intensificarsi dei conflitti e l’inflazione hanno fatto registrare nel 2023 un calo dei consumi in tutta Europa, Italia compresa. Di questo quadro di “economia di guerra” ha risentito anche l’industria del vetro italiana che ha registrato un arretramento nei volumi prodotti in tutti i comparti: -5,3% quello del vetro cavo, -7,7% quello del vetro piano e -21% per le fibre. Ma le prospettive per il 2024 danno moderati segnali di ripresa anche grazie al taglio dei tassi di interesse e agli ultimi dati che confermano, nel primo trimestre dell’anno, una crescita dell’export dei prodotti italiani legati al vetro, come il vino che ha segnato +3,1%, e il prosecco con un + 7.8%. Fattore critico resta però sempre il prezzo dell’energia che mette a rischio la competitività del comparto e rende più difficile il percorso di decarbonizzazione.
Questa la fotografia in bianco e nero del settore vetro, presentata nel corso dell’Assemblea annuale di Assovetro, l’Associazione Nazionale degli Industriali del Vetro, aderente a Confindustria, dal presidente Marco Ravasi, che ha esaminato le emergenze attuali e le sfide del futuro per una industria strategica per l’economia del Paese, che conta circa 29.000 dipendenti diretti ed è la seconda manifattura del vetro in Europa con un fatturato aggregato di circa 9,7 miliardi di euro, e di cui Assovetro rappresenta le aziende di maggiori dimensioni, con 107 siti produttivi distribuiti in tutta Italia.
“La decarbonizzazione”, ha dichiarato Marco Ravasi, “è la sfida più grande che abbiamo di fronte e tutti dobbiamo fare la nostra parte e noi la stiamo facendo, ma è giusto tutelare anche la competitività della nostra industria nazionale, penalizzata da un costo dell’elettricità, il vettore energetico della decarbonizzazione, che è il triplo di quello della Spagna e di molto superiore a quello di Francia e Germania, i nostri principali competitor. Contiamo che il Governo, come sta avvenendo in altri Paesi, supporti con incentivi e agevolazioni il nostro sforzo.
Il fattore energia
Gas ed energia elettrica, come ha sottolineato Ravasi nella sua relazione, continuano ad essere una delle criticità per un industria energivora che consuma circa l’1,5% dei consumi nazionali di gas ed energia elettrica. Criticità immediate per una questione di costi e quindi di competitività (i prezzi del gas ancora doppi rispetto al 2021) e criticità a lungo termine, legate alla decarbonizzazione che passa, obbligatoriamente, per l’accesso, a prezzi competitivi, a vettori energetici senza emissioni nette o a tecnologie di cattura.
Per l’aspetto prezzi, il mercato del gas naturale non accenna a scendere sotto i 30 – 40 €/MWh: avendo dovuto abbandonare l’economico gas russo, gli approvvigionamenti via tubo o via nave (nel caso GNL di provenienza USA) sono più onerosi.
Quanto all’energia elettrica, invece, pesa sulle produzioni italiane di vetro – e non solo – la disparità di prezzo che si registra tra i vari paesi dell’Unione e che innesca una concorrenza tra Stati membri che potrebbe portare al forte ridimensionamento del sistema produttivo nazionale, soprattutto se si pensa che una delle «leve» di decarbonizzazione è proprio l’elettrificazione. Dall’inizio dell’anno il prezzo medio in Italia ha superato i 90 €/MWh, mentre in Germania è attorno ai 70, in Francia è a 47 e in Spagna a 37. Lo sviluppo di rinnovabili nel nostro Paese, anche se lento, ha portato al soddisfacimento del 37% del fabbisogno elettrico nel 2023: non si comprende quindi come possano permanere differenziali di prezzo così elevati. Oggi nella produzione di vetro l’elettricità pesa per il 20%, l’11% è da fonte rinnovabile.
“Francia e Germania stanno varando misure di sostegno alle industrie molto significative”, ha concluso Ravasi. “L’Italia, stretta tra vincoli di bilancio e l’impossibilità di accedere ad energia nucleare, dovrebbe spingere con decisione sulle rinnovabili, ma senza introdurre storture nella dinamica dei prezzi, puntare su tecnologie di cattura della CO2 per la decarbonizzazione del settore elettrico e delle industrie hard to abate e anche sulla produzione e distribuzione di “gas verdi”. Da non sottovalutare poi il problema ancora irrisolto delle infrastrutture per il trasporto dell’energia elettrica”. (focus\aise)