La voce degli eletti all’estero (2)

ROMA – focus/ aise – “Con l’approvazione definitiva del cosiddetto Decreto Cittadinanza alla Camera dei Deputati (137 voti favorevoli, 83 contrari, 2 astenuti), l’Italia ha voltato le spalle a milioni di persone che, pur vivendo fuori dai confini nazionali, si sono sempre riconosciute nei valori, nella lingua, nella cultura e nella storia del nostro Paese. Si tratta di una riforma strutturale che, in nome della "sicurezza nazionale" – una motivazione discutibile se applicata a politiche di cittadinanza – restringe profondamente l’accesso iure sanguinis, ponendo limiti mai visti prima nella legislazione repubblicana e non riconoscendo più il valore della doppia cittadinanza”. Queste le annotazioni di Marco Fedi, già deputato Pd eletto all’estero, sulla riforma votata in via definitiva dalla Camera martedì scorso.
“In pratica, l’Italia, Paese che ha sempre costruito un’ampia rete di rapporti con le sue comunità all’estero, ora li rinnega”, accusa Fedi, amministratore delegato del Coasit di Melbourne. “Viene meno non solo il diritto automatico, ma anche il riconoscimento del legame culturale, familiare e affettivo che milioni di cittadini nel mondo rivendicano come parte della propria identità. E questo, oltretutto, in un contesto internazionale incerto, dove proprio quei legami con le sue comunità sparse per il mondo, offrono all’Italia un canale privilegiato di dialogo con le altre nazioni”.
“Con questa decisione l’Italia restringe il proprio orizzonte nazionale e identitario, riduce il proprio soft power, abbatte in un colpo solo quel ponte ideale che unisce gli italiani in tutto il mondo, creando un distacco che presto avrà pesanti ricadute anche in termini economici”, aggiunge Fedi secondo cui “in un’epoca in cui si parla di “Italia globale”, di diplomazia culturale e di investimenti nella diaspora italiana come risorsa strategica”, la riforma “rappresenta una contraddizione profonda. È una pagina amara per chi si sente italiano senza aver potuto formalizzarlo, per chi ha custodito con orgoglio l’identità ricevuta in eredità e per chi, oggi, si vede negare la possibilità di trasmetterla ai propri figli. Una riforma che avrebbe meritato un ampio dibattito parlamentare e pubblico viene approvata con decreto-legge, nel silenzio. Ma le sue conseguenze faranno rumore, non solo nelle comunità italiane all’estero, oggi tradite ed escluse, ma anche in patria”.
“Sì, perché letto in controluce, questo decreto ha un portato dalle preoccupanti implicazioni ideologiche e politiche”, osserva Fedi. “Rappresenta una de-umanizzazione dell’eredità culturale, senza alcun riconoscimento del vissuto affettivo, migratorio o intergenerazionale che lega i discendenti all’Italia. Effettua uno spostamento semantico dell’identità: non basta più “essere nati da italiani”, ma si deve dimostrare che l’italianità dell’ascendente non sia stata inquinata da altri legami giuridici, neppure post-mortem. È un principio di purismo giuridico che cancella la nozione di cittadinanza come fenomeno plurale e stratificato. Applica una esclusione del pluralismo identitario, precludendo la cittadinanza a chi ha un legame di sangue ma anche altre cittadinanze, negando la realtà globale di milioni di italo-discendenti che vivono da generazioni in contesti multiculturali”.
“Tutti questi – secondo Fedi – non sono concetti astratti, ma derivano da un preciso profilo ideologico-culturale che richiama logiche di esclusione e di “difesa dell’identità nazionale”. Un nazionalismo etnico-culturale che afferma una visione della cittadinanza basata sul sangue “puro” e sulla trasmissione unilineare e incontaminata dell’identità nazionale. Implicazioni che oggi colpiscono gli italiani all’estero, ma domani colpiranno uno ad uno anche tutti gli altri. È un primo passo, al quale ne seguiranno altri, per escludere sempre di più. Dopo di noi, toccherà ai cittadini italiani che vivono in Italia e hanno un'altra cittadinanza. Poi a chi pratica un'altra religione. Poi a chi ha idee diverse da quelle di chi esprime il potere. È una storia che abbiamo già visto e che non possiamo accettare si ripeta. Bisogna mettere un argine subito, prima che sia troppo tardi”.
“Le nostre comunità all’estero si opporranno come potranno a questa deriva ideologica pericolosissima e lo faranno non solo per sé stessi, ma per tutti gli italiani”, conclude. “Per i nostri connazionali ai quali, nonostante il governo provi a separarci, ci sentiremo sempre legati”.
“Ho insegnato ai miei figli non solo la lingua italiana, ma anche la cultura che rende unica la nostra terra. Le nostre tradizioni, il senso di appartenenza all’Italia: tutto questo fa parte della loro identità. Eppure, una domanda continua a tornarmi in mente: se noi per primi non trasmettiamo ai nostri figli e nipoti il legame con l’Italia, possiamo davvero aspettarci che lo Stato lo riconosca? La riforma della cittadinanza, approvata in via definitiva, va proprio in questa direzione. Non è una chiusura, ma un invito a ricostruire un rapporto autentico con il nostro Paese. L’obiettivo è ridare significato a una cittadinanza che troppo spesso è stata concessa in assenza di un vero legame con l’Italia”. Così scrive Fucsia Nissoli - deputata di Forza Italia nella scorsa legislatura, ora tra i coordinatori del partito in Nord e Centro America – a commento della riforma sulla cittadinanza approvata in via definitiva.
“Un emendamento — presentato dalla Lega e non previsto nel testo iniziale del 28 marzo — ha introdotto criteri più restrittivi per ottenere la cittadinanza per discendenza”, ricorda Nissoli. “Ora si richiede un legame diretto con l’Italia: un genitore o un nonno che abbia avuto solo la cittadinanza italiana, e una concreta esperienza di vita in Italia”.
“In democrazia si discute, si ascolta, e si modificano le norme per renderle più giuste e aderenti alla realtà”, annota l’esponente forzista. “Un Paese serio deve dare valore alla propria cittadinanza. Concederla in modo automatico, anche a chi non ha più alcun legame reale con l’Italia, ha finito per svuotarla di significato. Purtroppo, nel tempo, non sono mancati abusi — spesso non da parte dei singoli cittadini, ma da sistemi organizzati che hanno sfruttato le falle della legge. Questa riforma protegge chi ha agito in buona fede e ha mantenuto vivo il legame culturale, affettivo e civile con l’Italia. Perché la cittadinanza non è solo un diritto: è anche un dovere. È partecipazione, consapevolezza, responsabilità”.
“Questa riforma non è contro qualcuno. È a favore di una cittadinanza seria, viva, condivisa”, sottolinea Nissoli. “A nome dei Coordinatori di Forza Italia in Nord e Centro America, auspico che questo sia solo l’inizio di una riforma più ampia della rappresentanza degli italiani all’estero — un cambiamento riconosciuto da tutti come necessario, ma che finora nessuno aveva avuto il coraggio di avviare davvero. Grazie a Forza Italia e al Ministro Tajani per la visione, la determinazione e il coraggio dimostrati nel voler restituire alla cittadinanza italiana un significato autentico, responsabile e – conclude – profondamente legato ai valori della nostra Nazione”. (focus\aise)