L’ambiente al primo posto

ROMA – focus/aise - I dati di telerilevamento satellitare possono essere particolarmente utili per monitorare l’epidemia di “malattia dell’inchiostro” nelle foreste. È quanto ha messo in luce uno studio condotto dall’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche di Porano (Cnr-Iret), in collaborazione con l'Università della Tuscia e l'Università di sviluppo sostenibile di Eberswalde, pubblicato su Remote Sensing Applications: Society and Environment. La patologia, ampiamente diffusa nell'area mediterranea, è causata da organismi patogeni del genere Phytophthora, principalmente Phytophthora cinnamomi. Questi microrganismi attaccano le radici e il colletto degli alberi di castagno e quercia da sughero, provocando un annerimento che ricorda le macchie d'inchiostro. Il risultato è un deperimento progressivo che si manifesta con ingiallimento delle foglie, disseccamento dei rami e, nei casi più gravi, morte della pianta.
In Italia, la malattia dell'inchiostro è diffusa in diverse regioni, in particolare nelle aree caratterizzate dalla presenza di castagno e quercia da sughero. I ricercatori hanno utilizzato dati di telerilevamento satellitare per monitorare la diffusione della malattia nelle foreste dell'Italia centrale, una zona già sotto osservazione per la presenza del patogeno Phytophthora. L'indagine ha impiegato i sensori multispettrali Sentinel 2 e PlanetScope, oltre al radar Sentinel 1, per distinguere tra alberi sani e malati. Le bande del rosso e dell'infrarosso si sono dimostrate particolarmente efficaci nel rilevare la diffusione della malattia, poiché consentono di identificare sottili variazioni nella radiazione riflessa dalla vegetazione, fornendo indicazioni precise sullo stato di salute degli alberi. Questa metodologia permette di mappare con notevole accuratezza le aree forestali colpite dalla patologia, facilitando una valutazione estensiva e tempestiva delle zone infette. Lo studio ha evidenziato che, sebbene sia possibile distinguere chiaramente gli alberi malati da quelli sani, la discriminazione tra i diversi livelli di gravità dell'infezione è meno accurata.
“Monitorare lo stato di salute delle foreste è cruciale per contrastare gli effetti del cambiamento climatico”, afferma Alessandro Sebastiani, primo autore dell’articolo e tecnologo presso Cnr-Iret. “L’aumento delle temperature, delle ondate di calore e dei periodi di siccità previsto per i prossimi anni probabilmente favorirà la diffusione di patogeni come Phytophthora. Il nostro approccio sperimentale permette di mappare le aree soggette ad infezione, fornendo uno strumento prezioso per azioni di contrasto tempestive ed efficaci”.
La larga disponibilità di dati satellitari, acquisiti sull'area di studio ad intervalli regolari di pochi giorni, ci può aiutare a seguire l'espansione della malattia. “Sebbene ci sia margine di miglioramento nell'accuratezza delle previsioni, questo studio rappresenta un passo avanti nella gestione della salute forestale. Per il prossimo futuro, sarebbe interessante testare ulteriori dati satellitari, in particolare quelli iperspettrali, per identificare le aree infette con maggiore precisione”, conclude Sebastiani.
Comprendere se l’attività sismica, la deformazione del suolo e l’emissione di gas, fenomeni che dal 2007 sono progressivamente aumentati per il bradisismo in corso nel vulcano Campi Flegrei, coinvolgano il movimento o un accumulo di magma in profondità e, quindi, tracciarne l’evoluzione nel tempo. E secondo gli esperti, il vulcano ha mostrato segni di un progressivo accumulo di magma a profondità relativamente superficiali.
Questi gli obiettivi raggiunti da un team internazionale di ricercatori guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre e l’Université de Genève, nell’ambito del progetto “LOVE-CF” finanziato dall’INGV per l’indagine multidisciplinare dei Campi Flegrei.
I risultati dello studio sono riportati nell’articolo “Tracking the 2007-2023 magma-driven unrest at Campi Flegrei caldera (Italy)”, recentemente pubblicato sulla rivista Nature - Communications of Earth and Environment, che affronta questi aspetti importanti per definire la dinamica e lo stato attuale di un vulcano in un’area ad elevata densità di popolazione.
Da anni, gli scienziati monitorano con attenzione l'attività dei Campi Flegrei, la vasta caldera vulcanica situata a ovest di Napoli, il vulcano noto negli ultimi decenni per le crisi bradisismiche.
Utilizzando tecniche avanzate, come la geodesia, le simulazioni numeriche e la petrologia, i ricercatori sono riusciti a mappare il movimento del magma nelle profondità della caldera nell’arco di 16 anni, dal 2007 al 2023, ossia dall’inizio della nuova fase bradisismica del vulcano che dura ancora oggi.
L’analisi evidenzia che l'ascesa del magma a profondità inferiori a 8 km è il motore principale dell’attività in corso, caratterizzata da un lento e costante sollevamento del suolo, che ha raggiunto circa 1,3 metri al Rione Terra di Pozzuoli dal 2006 a oggi.
Considerando diversi scenari, i ricercatori hanno dedotto che la sorgente di deformazione risulta negli anni progressivamente più superficiale, da circa 6 km fino ad arrivare a circa 4 km di profondità. Tale sorgente costituisce il risultato della risalita di magma e gas magmatici dalla zona di accumulo principale, a 8 km di profondità, a profondità inferiori.
Inoltre, la risalita del magma e dei gas magmatici ha contribuito all'intensificazione dell'attività sismica e all’incremento dei fenomeni di emissione di gas, in particolare nell'area della Solfatara, che rappresenta iconograficamente una delle principali manifestazioni vulcaniche della caldera.
Gli esperti avvertono che, sebbene al momento non ci siano segnali di eruzione imminente, tuttavia il possibile continuo accumulo di magma e l'aumento della pressione nel sottosuolo rappresentano un rischio che deve continuare ad essere monitorato e gestito con grande attenzione.
"È fondamentale monitorare costantemente il comportamento di questo vulcano, soprattutto considerando che si trova in una delle aree più densamente popolate d'Europa", dichiara Elisa Trasatti, ricercatrice dell’Osservatorio Nazionale Terremoti dell’INGV e coordinatrice del gruppo di ricerca. “Negli ultimi decenni la rete di misura delle deformazioni del suolo tramite GNSS ha raggiunto un altissimo livello di sviluppo tecnologico per il numero di stazioni in tutta l’area vulcanica, e per l’affidabilità dell'elaborazione del dato, che è acquisito in continuo e processato giornalmente. Inoltre”, prosegue la ricercatrice, “il dato satellitare ha permesso una ricostruzione con grande copertura areale. Grazie all’alta qualità dei dati, è stato possibile sviluppare modelli avanzati per individuare la causa delle deformazioni monitorate. Questo ha permesso di effettuare un passo ulteriore nella determinazione dell’origine dell’attività dei Campi Flegrei”.
Mauro Antonio Di Vito, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV e coautore dello studio, afferma “Qualsiasi affermazione che riguarda l’attività dei Campi Flegrei deve essere ponderata con attenzione. Sebbene non sia possibile definire con certezza la presenza di magma a circa 4 km di profondità, lo studio stabilisce per la prima volta che il magma, in risalita dagli 8 km, è il motore principale dell’attività in corso ai Campi Flegrei. Sebbene al momento non ci siano segnali imminenti di eruzione, il continuo accumulo di magma e l'aumento della pressione nel sottosuolo rappresentano un rischio che non deve essere ignorato”.
Valerio Acocella, professore dell'Università Roma Tre, Associato di ricerca all'INGV e coautore dello studio, spiega: "Questo studio fornisce importanti elementi per comprendere meglio e vincolare lo stato attuale del sistema magmatico dei Campi Flegrei". Sottolinea inoltre l'importanza della collaborazione internazionale: "Lo studio dimostra anche quanto sia importante integrare diverse discipline ed utilizzare le competenze di istituzioni diverse per affrontare problemi complessi come quello dei Campi Flegrei. Solo attraverso un approccio multidisciplinare possiamo sperare di comprendere pienamente la dinamica dei vulcani".
Gli scienziati sottolineano che il vulcano è costantemente monitorato attraverso una fitta rete multiparametrica che consente di rilevare anche i minimi cambiamenti nella caldera.
"I dati più recenti, dal 2023 a oggi, mostrano similitudini con quanto osservato nei precedenti 16 anni, con una lieve intensificazione delle manifestazioni. Quindi, al momento non ci sono ragioni per ritenere che l’attività magmatica non stia ancora proseguendo come definito nello studio. Siamo costantemente in contatto con la Protezione Civile per garantire che ogni più piccolo sviluppo venga seguito con la massima attenzione" conclude Mauro A. Di Vito. (focus\aise)