L’ambiente al primo posto

ROMA – focus/aise - Nell’ambito della sperimentazione sulle potenzialità della fibra ottica utilizzata per le telecomunicazioni di essere sfruttata anche come innovativo sensore sismico, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università degli Studi di Napoli Federico II hanno recentemente completato l’installazione di un dispositivo di rilevamento acustico (DAS) in Irpinia, a Tito Scalo (PZ), dove l’azienda di telecomunicazioni Metis ha messo a disposizione dei ricercatori un tratto di fibra ottica lungo circa 20 km.
In Italia parlare di Irpinia è parlare di terremoto: dopo il devastante sisma del 23 novembre 1980 la ricerca scientifica ha trasformato la zona tra Campania centrale e Basilicata centro-settentrionale in una lente di ingrandimento per comprendere sempre meglio la genesi dei grandi terremoti.
È in questo contesto che nasce l’Irpinia Near Fault Observatory (NFO), frutto della collaborazione tra l’INGV e l’Università degli Studi di Napoli Federico II. L’Osservatorio, nato nell’ambito dell’European Plate Observing System (EPOS) e recentemente finanziato dal progetto PNRR Monitoring Earth’s Evolution and Tectonics (MEET), ha lo scopo di realizzare in quest’area, tra quelle a più alta pericolosità sismica d’Italia, un monitoraggio all’avanguardia del sistema di faglie sottostanti.
Le azioni principali sono due: da un lato la trasformazione di singole stazioni sismiche in costellazioni di stazioni, ovvero in serie di sensori ravvicinati, capaci di captare la microsismicità locale anche con magnitudo estremamente basse, e dall’altro la sperimentazione sulle potenzialità della normale fibra ottica da telecomunicazione di fungere da sensore sismico.
“Le misure provengono da una sorgente laser che invia impulsi luminosi all’interno della fibra”, spiega Gilberto Saccorotti, ricercatore dell’INGV. “Ogni minima deformazione della fibra modifica la lunghezza del cammino ottico degli impulsi e la misura di questa variazione consente di determinare la deformazione del terreno dovuta, ad esempio, al passaggio di un’onda sismica. Il dispositivo è in grado di effettuare queste osservazioni centinaia di volte al secondo, con una spaziatura dei punti di misura nell’ordine del metro, distribuiti lungo fibre lunghe anche decine di chilometri. Questa enorme mole di dati, rispetto alle attuali reti sismometriche, è potenzialmente capace di fotografare in maniera molto più dettagliata e continua la deformazione del suolo associata al fenomeno sismico”.
“L’Irpinia è la sede ideale per testare questi nuovi sistemi tecnologici perché la grande disponibilità di reti parametriche che abbiamo già in questa zona ci permetterà di analizzare i nuovi dati ottenuti, verificarli e capirne le potenzialità”, aggiunge Gaetano Festa, professore di Fisica all’Università degli Studi di Napoli Federico II. “Siamo in un campo nuovo della ricerca, ma quello che ci aspettiamo è un enorme salto di qualità perché è come avere a disposizione migliaia di sensori sul tratto investigato, che forniscono dati continui in tempo reale”.
La prima immagine ottenuta dalla sperimentazione racconta già come l’utilizzo della fibra ottica per il monitoraggio sismico rappresenti la sfida scientifica del futuro perché restituisce una “fotografia” inedita della dinamica del sistema di faglie irpino che apre a nuovi studi e a nuove interpretazioni per la comprensione più profonda della genesi dei terremoti e per la gestione del rischio sismico.
Sviluppare soluzioni innovative per migliorare la gestione e la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. È l’obiettivo del progetto europeo PREDIS, finanziato con oltre 23 milioni di euro dal programma Horizon 2020, che ha coinvolto 47 partner di 17 Paesi, dei quali sette per l’Italia: ENEA, Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), Ansaldo nucleare, Nucleco, Sogin, Politecnico di Milano e Università di Pisa.
In particolare, il progetto PREDIS punta a migliorare le attività di caratterizzazione, trattamento e condizionamento dei rifiuti radioattivi a bassa e media radioattività per i quali non sono ancora disponibili soluzioni mature dal punto di vista tecnologico (materiali metallici, rifiuti organici liquidi e solidi). Nell’ambito del progetto, sono anche state sviluppate innovazioni digitali a supporto del processo decisionale e, in attesa della realizzazione dei depositi nazionali, sono state testate soluzioni per lo stoccaggio in depositi temporanei dei rifiuti radioattivi già immobilizzati con il cemento.
Per ENEA, le attività dei ricercatori del Dipartimento Nucleare si sono focalizzate, soprattutto sul trattamento e il condizionamento dei rifiuti organici liquidi, una delle sette linee d’azione del progetto.
“Rendere solidi e stabili per lunghi periodi di tempo i rifiuti organici liquidi radioattivi è difficile per problematiche di natura chimica. Invece grazie a nuove formulazioni a base di geopolimeri che permettono di realizzare materiali simili al cemento, siamo riusciti a formulare matrici che forniscono ottime prestazioni potenziali sia in termini di inglobamento del liquido organico sia di robustezza e durabilità nel tempo”, spiega il responsabile del progetto, Giuseppe Augusto Marzo, ricercatore del dipartimento Nucleare dell’ENEA.
Inoltre, i ricercatori Maria Letizia Cozzella, Tiziana Guarcini e Fabio Girardi del laboratorio ENEA di Caratterizzazione radiologica hanno utilizzato materiali di scarto d’altoforno per dimostrare che si può arrivare a forme finali di rifiuti radioattivi più sicure nelle fasi di stoccaggio, trasporto e smaltimento. L’attività sperimentale è stata condotta in collaborazione con la società partecipata Nucleco.
“Abbiamo testato il campione di materiale per escludere la percolazione di elementi solubili inglobati all’interno della matrice, ma anche per valutarne la stabilità. Le nuove formulazioni a base di geopolimeri ricavati da scorie di altoforno hanno permesso l’inglobamento di liquidi organici fino al 30% in volume e dimostrato una resistenza significativa alla compressione, condizione necessaria affinché queste matrici possano essere adottate per l’utilizzo reale”, aggiunge Marzo.
Le attività di ricerca di PREDIS proseguiranno con EURAD-2, la seconda fase del programma europeo di ricerca che coadiuva i Paesi Ue nell’applicazione della direttiva 2011/70/Euratom sulla gestione dei rifiuti radioattivi. In questa fase, i programmi nazionali di ricerca e sviluppo saranno integrati coinvolgendo gli organismi che si occupano della gestione dei rifiuti, le organizzazioni di supporto tecnico e gli enti di ricerca.
ENEA ha ricevuto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica l’autorizzazione a partecipare a EURAD-2 come mandataria per l’Italia. Nell’ambito del progetto il Dipartimento Nucleare studierà tecniche innovative per la caratterizzazione fisico-chimica-radiologica dei rifiuti radioattivi, svilupperà nuove matrici per l’inertizzazione dei rifiuti radioattivi ed effettuerà ricerche geologico-ambientali a supporto dello smaltimento. (focus\aise)