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ROMA – focus/ aise - Nuovo traguardo per la missione europea JUICE (Jupiter Icy Moon Explorer). Arrivano i primi dati dalla superficie di un corpo celeste ripresi dallo strumento italiano RIME (Radar for Icy Moon Exploration), a bordo della sonda europea JUICE alla quale ha fortemente collaborato l’Agenzia Spaziale Italiana affiancata dalla comunità scientifica nazionale e dall’industria.
La sonda ha a bordo una suite di apparecchiature ideate per studiare i differenti aspetti del sistema gioviano, spiega l’ASI. Uno di questi è RIME, un radar a guida italiana finalizzato alla misurazione delle caratteristiche della superficie e del sottosuolo delle lune ghiacciate galileiane fino a una profondità di 9 chilometri.
Durante lo storico doppio sorvolo del sistema Terra-Luna, avvenuto con successo tra il 19 e il 20 agosto 2024, il radar è stato particolarmente attivo con lo scopo di effettuare un’ampia gamma di test “osservando” la superficie lunare e “ascoltando” il rumore a radiofrequenza presente al di fuori dell’atmosfera terrestre.
RIME è un radar soundere progettato per effettuare misure dirette di quello che avviene all’interno dei satelliti ghiacciati di Giove osservando l’interno di Ganimede, Europa e Callisto per svariati chilometri di profondità. Si tratta di misure mai effettuate prima sulle lune galileiane di Giove. Oltre ad obiettivi scientifici legati alla geologia di Ganimede, Europa e Callisto, e finalizzati ad una migliore comprensione dell’evoluzione del sistema gioviano e del sistema solare, il radar ha la capacità unica di rilevare la possibile presenza di sacche di acqua negli strati sotto-superficiali. Questo aspetto è di particolare importanza per l’intera missione visto che l’obiettivo principale di JUICE è comprendere l’abitabilità delle lune ghiacciate.
Lo strumento è stato costruito da un consorzio guidato da Thales Alenia Space (Roma) sotto la responsabilità dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e con il contributo del Jet Propulsion Laboratory della NASA sotto la guida scientifica dell'Università di Trento.
“Durante il flyby lunare, RIME è stato operativo per acquisire, per la prima volta dal lancio di JUICE, dati dalla superficie di un corpo celeste. Sono stati effettuati vari test variando i parametri radar con l’obiettivo di caratterizzare al meglio il funzionamento di RIME. Questi dati saranno estremamente preziosi per la calibrazione dello strumento e l’ottimizzazione delle tecniche di analisi dei segnali necessarie allo sviluppo delle attività scientifiche previste”, ha commentato Lorenzo Bruzzone dell’Università di Trento, Principal Investigator del team che ha progettato, sviluppato e testato RIME.
“Le misure raccolte – ha continuato Bruzzone - permetteranno inoltre di mettere a punto gli algoritmi di elaborazione necessari per ridurre gli effetti delle interferenze a radio frequenza generate dai sottosistemi della sonda nella banda del radar”. I test effettuati dopo il lancio hanno infati dimostrato che il sottosistema di alimentazione della sonda emette interferenze inaspettate che potenzialmente disturbano la qualità dei dati radar.
“Grazie all’intenso lavoro degli ingegneri del team di RIME negli ultimi mesi, sono già state messe a punto modalità di acquisizione dei dati e tecniche di elaborazione dei segnali capaci di ridurre drasticamente gli effetti del rumore”, ha concluso Bruzzone.
“Il team di RIME è soddisfatto del corretto funzionamento dello strumento e degli echi radar ricevuti dalla superficie lunare - ha affermato Jeffrey Plaut, Co-Principal Investigator di RIME presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA - Il coordinamento tra le operazioni di missione e il team dello strumento ci ha consentito di ottenere un prezioso assaggio dei dati radar di RIME mentre continuiamo il nostro viaggio verso le lune ghiacciate”.
“Il viaggio di JUICE verso Giove continua grazie a una manovra di flyby intorno al sistema Terra-Luna senza precedenti. Le osservazioni effettuate hanno dimostrato il funzionamento nominale dello strumento – ha commentato Alessandra Tiberia dell’Agenzia Spaziale Italiana, Project Manager del team RIME - In particolare, RIME ha acquisito echi di alta qualità della superficie lunare. Inoltre, durante il sorvolo della Terra, RIME ha operato in modalità di solo ascolto allo scopo di misurare segnali elettromagnetici provenienti dalla ionosfera e generati da fenomeni atmosferici terrestri utili da un lato per la calibrazione dello strumento, dall’altro oggetto di studi scientifici nei prossimi mesi. Come qualcuno disse: “A volte il viaggio vale quanto la destinazione”.
Uno studio pubblicato su Nature Communications ha indagato i meccanismi sismici della Faglia Anatolica Orientale (FAO), situata in Turchia vicino al confine con la Siria e che è stata interessata, a febbraio 2023, da due devastanti terremoti di magnitudo superiore 7.5 che hanno causato distruzione e circa 50.000 vittime. Gli autori, ricercatori dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igag) e delle Università di Messina e di Palermo, hanno analizzato 2000 anni di terremoti, identificando un comportamento sismico complesso legato ai ‘supercicli sismici’.
“Un superciclo sismico è un processo che si verifica lungo grandi faglie tettoniche, dove il movimento delle placche crea un accumulo di stress (energia) nel corso di centinaia di anni. Questo stress può rimanere relativamente ‘bloccato’ per lunghi periodi, ma quando si libera, può causare terremoti estremamente potenti”, spiega Andrea Billi, ricercatore Cnr-Igag. “Nel nostro studio abbiamo verificato che i terremoti devastanti si innescano a grappoli spaziotemporali lungo i 500-600 km della FAO migrando progressivamente da nordest a sudovest in tempi di alcuni secoli per ciascun superciclo. Questi eventi, se osservati su mappa, inizialmente colpiscono la parte nordorientale della faglia, seguiti, nei secoli successivi, da una serie di scosse concentrate nella parte centrale e sudoccidentale della medesima faglia”.
Lo studio ha analizzato le sequenze di aftershock dei quattro terremoti principali più recenti (2010-2023), rivelando come la dispersione degli epicentri sia aumentato verso sudovest.
“I terremoti nella parte nordest si sono concentrati lungo la superficie principale della faglia, favorendo il trasferimento dello slittamento sismico verso sudovest e potenzialmente innescando terremoti più diffusi e complessi, quali quelli devastanti del 2023”, prosegue il ricercatore. “Le scoperte suggeriscono che questo comportamento, caratterizzato da una progressiva rottura sismica della faglia e dalla migrazione dell'attività sismica verso sudovest, potrebbe portare a lunghi periodi di pericolo sismico nella regione. In altre parole, la successione dei terremoti recenti (2010-2023) spiega le successioni o supercicli degli ultimi duemila anni. Questo studio rappresenta un passo cruciale per migliorare la comprensione dei fenomeni sismici e dei rischi legati ai supercicli anche nelle altre faglie attive nel mondo, aprendo nuove prospettive per la previsione dei terremoti a livello globale”. (focus\ aise)