“Japan in Murano”: l’omaggio di Magazzino Italian Art al maestro vetraio giapponese Yoichi Ohira

Yoichi Ohira, Mille Luci, 2004, vetro, 21.6 cm. Courtesy of Magazzino Italian Art
NEW YORK\ aise\ - Magazzino Italian Art inaugura l’8 settembre la stagione espositiva autunnale con “Yoichi Ohira: Japan in Murano”, la prima ampia retrospettiva statunitense dedicata all’artista giapponese, per decenni attivo a Venezia.
La mostra, curata da Nicola Lucchi, ripercorre l’intero arco della carriera di Yoichi Ohira (1946-2022) a Murano, dagli esordi dell'esperienza formativa presso la Fucina degli Angeli, all'affermazione come direttore artistico della Vetreria De Majo e infine come artista indipendente e figura centrale nel panorama del vetro contemporaneo.
L’esposizione, allestita sino al 23 marzo 2026 presso il Robert Olnick Pavilion di Magazzino Italian Art, riunisce una selezione rappresentativa di oltre sessanta opere, che spaziano dalle prime realizzazioni seriali agli ultimi esperimenti con la forma, la materia e la luce. Accanto ai vetri finiti saranno inoltre esposti disegni preparatori che permettono di penetrare nell’universo creativo di Ohira tramite un percorso visivo parallelo e complementare.
Il percorso espositivo è concepito come un viaggio che si apre con i lavori degli esordi, di impeccabile inventiva formale, realizzati nel solco della tradizione vetraria veneziana; attraversa una fase di grande sperimentazione con colori audaci, forme innovative e nuove tecniche, sempre però radicate nel sapere dei maestri vetrai; e si chiude con le opere degli ultimi anni, caratterizzate da una scelta più radicale, che abbandona quasi del tutto il colore per concentrarsi su una dimensione minimalista, dedicata alla pura contemplazione della luce e dei volumi.
La mostra è allestita in uno spazio immersivo e raccolto, con le opere collocate all’interno di lunghe vetrine che corrono lungo tutto il perimetro della sala, avvolgendo il visitatore. Queste vetrine, inondate di luce calibrata, fanno emergere i dettagli più sottili delle superfici e dei diversi trattamenti del vetro, restituendo la varietà materica che caratterizza la ricerca di Ohira.
Un aspetto fondamentale dell’esposizione è infine la presenza di un’ampia selezione di disegni esecutivi originali, preparati da Ohira e utilizzati dai maestri vetrai nella realizzazione dei vasi. I disegni su carta furono degli strumenti di lavoro, realizzati personalmente da Ohira con indicazioni precise su proporzioni, spessori e cromie, ad uso dei maestri soffiatori, e con descrizioni atte a guidare il passaggio dalla linea bidimensionale alla forma tridimensionale. Si tratta di una documentazione preziosa non solo per comprendere il processo creativo di Ohira, ma anche per capire il funzionamento del lavoro in fornace, dove il maestro vetraio traduce il disegno in gesto tecnico. I disegni rivelano quanto la precisione progettuale fosse per Ohira un atto di rispetto verso il materiale e verso chi lo lavorava.
Pur non seguendo un ordine strettamente cronologico, la mostra illustra le principali fasi della carriera di Ohira attraverso nuclei di assonanze estetiche, contrasti cromatici e affinità formali che mettono in dialogo le varie fasi lontane della produzione. Le prime opere di Ohira a Murano si collocano nella continuità della grande tradizione veneziana: la padronanza di tecniche quali il “reticello” e “incalmo” si accompagna a una sensibilità formale di matrice orientale, fatta di proporzioni equilibrate, superfici limpide e accostamenti cromatici calibrati. Rappresentativa di questo periodo è la serie Venezia e l’Oriente. Grazie al filo conduttore dei rapporti secolari tra la Serenissima e l’emisfero orientale (Costantinopoli, impero ottomano, estremo oriente), Ohira propone una carrellata di vasi-personaggi che rileggono meraviglie degne dei racconti di Marco Polo attraverso un esotismo misurato e moderno. Fin da questa prima fase è evidente il rispetto che Ohira nutre per l’intelligenza manuale dei vetrai muranesi. Ogni oggetto è il risultato di un dialogo serrato con i maestri dell’isola, in cui il disegno preparatorio diventa la mappa attraverso la quale tradurre un’idea in vetro soffiato. Un vivido vocabolario di linee, colori, metafore e aggettivi traduce in segni la percezione della materia, rivelando la bellezza di volumi e trasparenze prima che prendano corpo nel lavoro della fornace.
A partire dalla metà degli anni Novanta Ohira entra in una fase di grande libertà creativa. Abbandona i vincoli della produzione seriale e si dedica ai pezzi unici. È qui che il colore diventa protagonista: tonalità lattiginose o vibranti, contrasti di opaco e trasparente, accostamenti inusuali che ricordano pietre dure, lacche giapponesi o minerali levigati dal tempo. Il vocabolario delle forme si amplia, i profili si incurvano, le superfici si arricchiscono di intrecci complessi. Tecniche antiche come la “murrina” e il “battuto” vengono reinterpretate in chiave contemporanea, talvolta forzando la materia per ottenere effetti sorprendenti. Sempre radicato nell’osservazione della natura, il lavoro di Ohira esalta la ricchezza cromatica e la vitalità del vetro muranese: il suo lavoro maturo incorpora linee calligrafiche e colori sgargianti, trasparenze che amplificano il potenziale artistico della luce, una densità materica e cromatica che richiama impressioni visive della laguna, quasi fosse dipinta sul vetro a pennellate. Tra le opere più notevoli di questo periodo aureo si ricordano capolavori come i vasi Acqua alta di Venezia, in cui l’utilizzo di polvere nel vetro opaco crea l’impressione di antichi selciati, sovrastati da vetro blu inciso che richiama l’acqua movimentata dell’alta marea.
Negli ultimi anni della propria attività Ohira compie una scelta di essenzialità. Abbandona quasi del tutto il colore e concentra la propria ricerca sul rapporto tra cristallo e luce, in un equilibrio tra pieni e vuoti. Le forme tradizionali del vaso, pur sempre rispettate, diventano apertamente scultoree, trasformando una materia spessa ma trasparente in forme monumentali e luminose. Questa fase rivela l’artista come maestro della sottrazione: persi i riferimenti naturalistici e figurativi più ovvi, l’opera diventa un luogo di silenzio, un volume in cui il vuoto e la luce sono parte integrante della forma. È un ritorno alle radici, non in senso tecnico, ma spirituale: Ohira si era innamorato del vetro da giovane, leggendo una novella del connazionale Hiroyuki Itsuki che descriveva la lavorazione del vetro come “musica senza suono”. In queste ultime opere, la materia è ricondotta a questo silenzio, e diventa strumento di meditazione visiva.
Per Nancy Olnick e Giorgio Spanu, fondatori di Magazzino Italian Art, “questa presentazione dell’opera di Yoichi Ohira riafferma la sua posizione come uno dei più importanti artisti della sua generazione. La sua esperienza personale di artista giapponese con una carriera brillante a Venezia ha portato una ventata di novità nella lavorazione del vetro a Murano, dando nuova linfa a un’arte antica e radicata nella tradizione”.
“Yoichi Ohira: Japan in Murano”, afferma Adam Sheffer, direttore di Magazzino, “testimonia l’ampiezza del raggio d’azione di Magazzino Italian Art come unica istituzione negli Stati Uniti dedicata all’arte e alla cultura italiana del dopoguerra. Presentata in contemporanea con Piero Manzoni: Total Space, questa mostra offre al nostro pubblico una prospettiva ampia sulla ricca storia di quest’epoca e dei suoi artisti”.
“Di particolare interesse, accanto alle opere in vetro, è la presentazione di una serie di studi su carta e disegni esecutivi che Ohira condivideva con i maestri vetrai, illustrando loro le caratteristiche che desiderava ottenere in ciascuna opera. Questi documenti di pensiero e invenzione”, spiega Nicola Lucchi, curatore della mostra e direttore della ricerca e didattica di Magazzino, “costituiscono una rara opportunità per approfondire il processo artistico che sta alla base del vetro muranese”.
Yoichi Ohira (Tokyo, 1946–2022) è stato un artista giapponese riconosciuto a livello internazionale. Dopo essersi diplomato nel 1969 alla Kuwasawa Design School di Tokyo, Ohira iniziò a lavorare come apprendista vetraio presso la Kagami Crystal Company, entrando in contatto diretto con il potenziale ottico e formale del vetro. Nel 1973 si trasferì a Venezia per studiare scultura all’Accademia di Belle Arti, laureandosi a pieni voti nel 1978 con una tesi dal titolo L’estetica del vetro. Durante il soggiorno veneziano strinse un importante legame con Egidio Costantini, fondatore della Fucina degli Angeli, maestro nell’arte di tradurre opere bidimensionali in sculture di vetro. Fu grazie alla collaborazione con Peggy Guggenheim che Costantini entrò in dialogo con figure come Pablo Picasso, Jean Cocteau, Max Ernst, Alexander Calder, Lucio Fontana e Georges Braque. L’incontro di Ohira con Costantini fu decisivo nello sviluppo della visione di questo straordinario artista, per il quale il vetro non sarebbe mai più stato un mero mezzo decorativo, ma un linguaggio artistico autonomo.
Nel 1987 fu nominato direttore artistico della vetreria De Majo a Murano, dove ideò collezioni che mettevano in relazione forme orientali e tecniche veneziane, vincendo nello stesso anno il Premio Selezione nell’ambito del prestigioso Premio Murano. Nel 1992 intraprese una carriera indipendente, collaborando con i maestri soffiatori Livio Serena, Andrea Zilio, e con il maestro molatore Giacomo Barbini per realizzare pezzi unici di straordinaria raffinatezza. La sua prima mostra personale di vetri veneziani si tenne nel 1997 al Caffè Florian, in Piazza San Marco. Nel corso della sua carriera espose a livello internazionale, accanto a maestri come Carlo Scarpa, Lino Tagliapietra, Dale Chihuly, Laura de Santillana e altri protagonisti della scena contemporanea. Ohira fu inoltre il primo artista a Murano a firmare ciascuna opera in vetro con la data esatta del giorno di produzione ed i nominativi sia del maestro soffiatore che del maestro molatore.
Magazzino Italian Art è un museo e un centro di ricerca dedicato a promuovere lo studio e la conoscenza dell'arte italiana del dopoguerra e contemporanea negli Stati Uniti. Situato a Cold Spring, New York, il museo è stato fondato da Nancy Olnick e Giorgio Spanu e inaugurato nel 2017 con una mostra dedicata a Margherita Stein, fondatrice della storica Galleria Christian Stein di Milano e fondamentale sostenitrice degli artisti associati all'Arte Povera. Immerso nel paesaggio delle Hudson Valley Highlands, il primo edificio di Magazzino, progettato da Miguel Quismondo, ospita la collezione del museo e un centro di ricerca. Nel settembre 2023, il museo ha inaugurato il secondo edificio, il Robert Olnick Pavilion, progettato dagli architetti Alberto Campo Baeza e Miguel Quismondo. Questo nuovo edificio offre ulteriori spazi espositivi, un Education Center, uno Spazio Aperto, The Store, e il Café Silvia, che propone cucina italiana a cura dello chef italiano Luca Galli. (aise)